di Giuseppe Giunto
Il giorno 6 Agosto 1861, l’aciprete De Gregorio mandò un suo emissario all’accampamento di Cosimo Giordano, chiedendogli di prendere il comando del paese. Il giorno dopo Giordano entra in Pontelandolfo con pochi briganti, la popolazione lo acclamava come liberatore, il sindaco era scappato, e la processione religiosa che si doveva tenere si trasformò in una sfilata di orgoglio nazionale. Le effige sacre si mescolarono con quelle di Francesco II.
Trenta Briganti accompagnati da centinaia di persone si diressero verso il corpo della guardia nazionale, uccisero i pochi rimasti e, distrussero i ritratti di vittorio Emanuele II assieme a quello di garibaldi. Si rimettono le effige e i ritratti di Francesco II, e della famiglia Borbone. Si uccisero tutti i traditori, e le spie piemontesi presenti, fu ucciso a colpi di scure Michelangelo Perugini un esattore delle imposte. Nelle vicinanze la notizia si diffuse subito, a Casalduni che è distante 6Km era amministrata da un sindaco filoborbonico, Luigi Ursini. La popolazione scende per le strade, anche qui si distrugge il posto di guardia della guardia sabauda, si prendono armi e munizioni si abbattono anche qui i vessilli Savoia, e il tricolore. Questa euforia travolse anche Campolattaro dove contadini cominciarono a confluire provenienti da Pontelandolfo e Casalduni. Le sollevazioni si allargarono, dopo Guardia Sanframondi, il 10 agosto si assalta il comune di Faicchio.
Il casus belli della rappresaglia ci fù quattro giorni più tardi, la sera dell’11 agosto, quando a Casalduni, vicino Pontelandolfo, furono uccisi in un’imboscata, dai filo-borbonici e dai legittimisti, 45 bersaglieri del nuovo esercito italiano, comandati dal tenente Bracci.Erano stati inviati dal colonello Negri per una perlustrazione, per avere una conferma e delle informazioni sulla rivolta in atto.
La reazione non tardò ad arrivare contro quei comuni e infatti, qualche giorno dopo, il generale Cialdini, informato dei fatti dal cavalier Jacobelli della Guardia Nazionale, diede l’ordine: «che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra».
All’alba del 14 agosto 1861, partirono per compiere una disumana missione. A Casalduni, l’ufficiale Melegari, trovò che un paese abbandonato, gli abitanti erano stati avvisati dal sindaco e si erano rifugiati tra i monti. A Pontelandolfo invece la strage fu piena e i civili colti nel sonno. Improvvisamente esplose l’ordine d’assalto in raffiche di fucili, in furibonde scorrerie, vennero abbattute le porte e le finestre. La sparatoria non risparmiò nessuno: caddero sotto i colpi giovani e vecchi, donne e fanciulle, chi uscì dalle case professando la propria innocenza e chi cercò di difendere i più piccoli e le donne. Fu un’azione costellata di assassinii, violenze, sopraffazioni, razzie. Dopo ci furono solo corpi e case che bruciarono fino alle prime luci dell’alba. L’indomani il Giornale officiale di Napoli, il 16 agosto del 1861, rese pubblico il dispaccio telegrafico con il quale Negri informava Cialdini che «ieri, all’alba, giustizia fu fatta per Pontelandolfo e Casalduni» Un battaglione di bersaglieri entrò in paese, uccise quanti ne erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamento distrutto. La stessa sorte toccò a Casalduni, i suoi abitanti erano uniti a quelli di Pontelandolfo. Si pensa che gli organizzatori della insurrezione di questi paesi fossero i preti; in tutte le province, e specialmente nei villaggi, i preti ci odiano a morte, e abusando infamamente della loro posizione, spronano gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta. Se invece dei briganti che, per la massima parte son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati, il castigo sarebbe più giustamente inflitto, e i risultati più sicuri e più pronti…».
«Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno portato due volte i Borbone sul trono di Napoli. É possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120.000 uomini? Ho visto una città di 5000 abitanti completamente distrutta e non dai briganti». La città di cui parla nella sua relazione il deputato milanese, Giuseppe Ferrari, è Pontelandolfo, nella quale di persona si recò mesi dopo, per constatare con i suoi occhi come il paese fu distrutto e bruciato.
L’ordine del generale Enrico Cialdini fu impietosamente eseguito. Il giorno dopo un dispaccio del colonnello Pier Eleonoro Negri annunziava laconicamente nei giornali ufficiali “Ieri mattina all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo”.