Di Annamaria Pisapia
“[…]È arcinoto che la prima ferrovia della penisola italica sia la Napoli- Portici, inaugurata il 3 ottobre 1839. Dunque, possiamo dire che è un primato. Oddio, l’ho detto! No, non è una parola blasfema, quanto piuttosto una di quelle che scatenano in alcuni, attacchi di ilarità (beninteso, solo per i primati raggiunti a Sud della penisola italica, e in special modo quelli ottenuti durante il periodo dei Borbone). Così, accade che il primato della prima ferrovia non potendo essere eliminato, venga denigrato e declassato a “giocattolo per il re…” che aveva 128 chilometri di strade Ferrate contro gli 852 del Piemonte.
Con un po’ di pazienza tenti di spiegare che erano in costruzione altri 132 chilometri, con alcuni tratti già ultimati, che vennero bloccati in seguito all’unità… e provi a fargli comprendere che per l’orografia del territorio era decisamente più agevole e più redditizio utilizzare le “vie del mare”, da cui era circondato quasi interamente il Regno delle Due Sicilie, che facilitava notevolmente gli scambi commerciali anche con l’America [… ] ma quando pensi che sia alquanto arduo ribaltare convinzioni ormai consolidate, ecco che ti arriva un aiuto (il caso!), e incredibilmente da un pordenonese, quale era l’onorevole Gabelli. Il quale, nel 1873, per giustificare l’assenza delle strade ferrate al Sud in favore di quelle del Nord, affermò che il Mezzogiorno poteva contare sul mare facendo concorrenza alle strade Ferrate: ” [… ] nella parte settentrionale, dove tanto, in confronto dell’Italia meridionale, s’allargano le terre, dobbiamo per necessità correre vie terrestri [… ] la concorrenza del mare esisterà sempre e sarà sempre invincibile”. Quindi, i Borbone ci avevano visto giusto nello sviluppare le vie del mare? Ma come? Eppure, il leit motiv ripete costantemente, ancora oggi, che eravamo arretrati, perché al momento dell’unità il Nord era più ricco e civile proprio perché aveva realizzato più chilometri di strade Ferrate” [ tratto da “Mal Trattati” di Annamaria Pisapia].
C’è da aggiungere che nel 1846 venne affidata all’ingegner Melisurgo la realizzazione della linea che avrebbe collegato Napoli alle Puglie, che stava già in essere al momento della “unità”, ma nel 1860 Garibaldi annullò la concessione delle ferrovie sul versante tirrenico-adriatico a Melisurgo affidandola ai massoni Adami- Lemmi (i fratelli dovevano essere ricompensati per i ben noti servigi). Di li a poco essa fu revocata e trasferita alla società piemontese, con capitale francese, Vittorio Emanuele . Nel 1864 il neonato Regno d’Italia aveva costruito 566 km. più altri 743 km della Società lombarda e dell’italia centrale; 293 km della società livornese e 224 km della società maremmana; 171 km della società centrale toscana; 388 delle ferrovie romane; 482 km alle Ferrovie meridionali e appena 32 della società Vittorio Emanuele in Calabria e Sicilia.
Nel 1872, al nord erano presenti 3,006 km; a Roma e centro 1,586 km; al Sud 1,327; in Calabria e Sicilia solo 551km.
La notevole discrepanza tra i km di ferrovie tra il Nord e il Sud sono emblematici di una politica coloniale in favore della parte conquistatrice (il Nord). Diversamente, se l’intento fosse stato di unificare gli Stati della penisola italica lo Stato italiano avrebbe dovuto convogliare le risorse alle ferrovie del Sud, portando quest’area al pari con quella del Nord. Ma se ne guardarono bene dal farlo: non sia mai avessimo cominciato a fare concorrenza ai “fratelli” del Nord.