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La strage di Montefalcione: ma il voto per l’unità non era stato Plebiscitario?

Un'altra storia raccontata dalle pagine degli sconfitti, quella reale senza mistificazioni

BCC

di Giuseppe Giunto
A Montefalcione, c’è agitazione, siamo nel settembre 1860, a Montemiletto, Torre le Nocelle e Pietradefusi la popolazione si è sollevata rabbiosamente contro i liberali. L’esercito, con le piume al cappello, e la famigerata Legione Ungherese interviene con la forza, oltre mezzo migliaio di persone furono incriminate, quasi quattrocento gli arresti. Ma facciamo un passo indietro…

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Molti scappano riparando nei boschi evitando la cattura tra Montefalcione, Montemiletto, Lapio, Chiusano e Montaperto, la popolazione inizia a radunarsi intorno ad accampamenti organizzati per lo più da ex soldati del disciolto esercito delle Due Sicilie. Anche le vicine montagne di Volturara, Sorbo e Salza erano piene di fuggiaschi. Ai primi di gennaio si rincorrevano voci di un’imminente insurrezione a Montefalcione, a Lapio, Montemiletto, Torre le Nocelle e Pietradefusi. La notizia arrivò al governatore di Avellino, il quale mandò in zona un drappello in ricognizione comandato dal capitano Masi, con l’ordine di perquisire le case e disarmare i sospetti.

Una notte del 10 febbraio a Montefalcione, si innalzarono alcune bandiere bianche gigliate, due giorni dopo si manda sul posto il capitano Tagle con l’incarico di scoprire i temerari che avevano fatto il gesto.  Il ritorno degli ex soldati da Gaeta a fine febbraio rinforzò notevolmente lo spirito di rivolta. Continue riunioni si tenevano per decidere il da farsi. Uomini armati entrarono in paese e si presentarono dal sindaco, Diocle Polcari, con l’ingiunzione di adunare il popolo in pubblica piazza, distruggere le insegne sabaude ed inneggiare ai Borbone. Ad Avellino ormai, non disponendo più di militari per contrastare le continue sollevazioni, si lanciavano continue e pressanti richieste di soccorso. Compresa la gravità della situazione, il 6° Comando militare stanziato a Napoli ordinò al colonnello Jhasz, comandante della Legione Ungherese in Nocera dei Pagani, di inviare ad Avellino, con estrema urgenza, trecento uomini e tutti gli Ussari disponibili. Arrivarono tre compagnie del battaglione di fanteria e centoventi Ussari. In breve, un’accozzaglia di Ungheresi definiti “veri patrioti” venne a salvare l’occupazione sabauda nella provincia di Avellino! 

Gli ungheresi si lanciarono alla carica sulla popolazione, dall’interno di un monastero la brigata Aosta e le guardie nazionali fuoriuscirono all’attacco. Gli insorti cercarono di difendersi per circa un’ora, fino a quando dovettero disperdersi in ogni direzione. Quelli più arditi, un migliaio circa, quelli che erano pronti a resistere, ripiegarono verso la parte alta del paese. Una quarantina di essi si asserragliò in due masserie vicine. Gli ungheresi che non erano dei militari, ma assassini inferociti, “appiccarono il fuoco alle masserie, e come uscivano, venivano fatti a pezzi, non si salvò nessuno. A Montefalcione si alzano le barricate, ma poche fucilate fanno cadere la resistenza, furono attaccati da ogni parte, fu un orribile macello per le vie e le campagne. Cessata la battaglia, mentre Montefalcione veniva orrendamente data alle fiamme dai militari, si scatenò una feroce caccia all’uomo con fucilazioni indiscriminate fino alle 11 di sera. “Si trovarono 30 cadaveri per le vie dell’abitato, oltre quelli che si trovano per le campagne, e che saranno, poiché sono inseguiti da ogni parte fucilati all’istante. L’Irpino del 10 luglio 1861 scrisse: “La strage dei nemici è cosa orrenda a dirsi e a vedersi, a nessun tristo è stata risparmiata la vita”. L’Irpino del 18 luglio 1861 narrò di un insorto moribondo che raccomandò l’anima a “Santo Francesco Borbone”! Gli ungheresi fecero una strage, si dice che furono uccise 135 persone, secondo l’Irpino del 18 luglio 1861 le vittime furono 150. In particolare trenta persone furono uccise nel corso di un massacro perpetrato in una chiesa, dove avevano cercato rifugio. Molti vennero fucilati nel monastero dei Padri Dottrinari. L’eccidio di Montefalcione ebbe un’eco nel Parlamento di Torino. Il deputato di Casoria, Francesco Proto, Duca di Maddaloni, nella tornata del 20 novembre 1861 depose sul banco della Presidenza della Camera una mozione d’inchiesta ‘in cui, per denunziare la brutalità della repressione piemontese, citò, tra l’altro, i fatti di Montefalcione.

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