di Giuseppe Giunto
“Ma che vaco mettenne ’a fune ’a notte?” Questa è una tipica espressione partenopea, tradotta significa “Vado forse tenendo la fune di notte?!” una locuzione che descrive un’antica tecnica di rapina. I malviventi allungavano delle corde, tenendole in tensione nei vicoli in modo da far inciampare i malcapitati per poi derubarli. Questo capitava spesso, i vicoli e le strade di Napoli erano al buio. I nobili venivano scortati dai loro servi che camminavano davanti a loro, proprio per evitare anche di far inciampare nelle corde dei ladri i loro padroni, le persone semplici invece restavano a casa di sera.
In un primo momento si cercò di illuminare le strade con delle lampade a olio, questa idea venne a un Frate Domenicano, Padre Gregorio Maria Rocco, ma venivano sistematicamente distrutte dai ladri. Padre Rocco era tenuto molto in considerazione dal popolo, inoltre godeva anche della stima di Carlo e di suo figlio Ferdinando. L’illuminazione stradale era inesistente, quindi bisognava trovare un metodo che portasse luce nelle strade, e senza incidenti. Il domenicano fa leva sulla fede dei napoletani, così fece costruire delle cappelle votive illuminate, in modo che la luce della cappella potesse illuminare anche la strada dove si trovava. L’idea fu geniale, il frate consegna 6 immagini sacre a delle famiglie, le più devote, con il compito di prendersi cura di queste immagini, di tenerle fuori casa e di accendergli un lume ogni sera. Le lampade votive che illuminavano le immagini per strada non furono mai distrutte, e cosi che si ha una prima illuminazione delle strade di Napoli. In questo modo le strade divennero più sicure, anche perché le cappelle votive aumentarono.
Ma questo fù solo l’inizio, durante il regno di Ferdinando IV con il decreto reale n°611, il re concede la privativa per l’illuminazione a gas nella città di Napoli, a Pietro Andriel di Montpellier, ma questi non esercitò mai la sua concessione. Napoli fu la prima città italiana a realizzare un impianto di illuminazione a gas, preceduta in Europa solo da Parigi, Londra e Vienna. Nel 1837 Ferdinando II concede al Cavalier Giovanni De Frigiere di poter illuminare le strade di Napoli con del Gas prodotto dall’olio d’oliva. Come tutte le novità non fu presa benissimo, anzi qualcuno era scettico su questo Gas, e che avrebbe potuto provocare disturbi alla popolazione, ma ricevute tutte le rassicurazioni accetta questo nuovo modo di illuminare. Ferdinando II voleva illuminare Napoli anche per renderla più sicura, ritornando dal suo viaggio in Francia voleva imitare Parigi. Così accettò di buon grado questa innovazione, si cominciò illuminando il porticato di San Francesco di Paola, dopo lo stesso Palazzo Reale. Nel dicembre del 1838 con un contratto stipulato trà il sindaco Don Giuseppe Caracciolo e De Frigiere, si rilascia in appalto l’illuminazione delle principali strade della città, quali via Toledo, via Chiaia, Riviera di Chiaia, Pignasecca, Chiatamone, largo Castello, Monteoliveto, via Tribunali, via Foria, Porta Nolana. Nasce la figura del “accenditore” o “lampionai” professionisti, per far fronte alle nuove necessità fu creato un nuovo opificio al Vico Cupa a Chiaia. Il 7 gennaio 1841 fu costituita la prima Compagnia di illuminazione a gas di Napoli. De Frigiere passò il timone a De Bossieu, negoziante di Lione, e poi ad Alfonso Pouchain che chiamò la società “Compagnia Pouchain”. Completato l’impianto, furono avviate delle trattative per estendere l’illuminazione a gas a tutte le strade della Città di Napoli.