Di Giuseppe Giunto
Era l’alba del 22 luglio 1861, una compagnia di Bersaglieri, fedeli a Vittorio Emanuele II, italiani da poco, ma Piemontesi da sempre, comandati dal Conte Federico Bosco che era alla testa della compagnia, il quale dopo aver fatto circondare il piccolo paese di Somma Vesuviana, e bloccando tutte le strade di accesso ad esso, entrò nel comune, e diede subito l’ordine di rastrellarlo casa per casa. Trà le grida di paura delle donne e dei bambini svegliati di soprassalto, in breve il paese fu in preda al panico, dalle finestre e dai portoni, mentre gli abitanti fuggivano terrorizzati, cadevano le misere cose e le masserizie, buttate dalle finestre dalla truppa scatenata.
Il portone della chiesa fu forzato, la canonica messa a soqquadro ed il parroco, Don Felice Mauro, messo in catene e trascinato in piazza. Le imprecazioni e le invocazioni si accavallavano agli ordini dei pennuti Piemontesi, mentre il fumo degli incendi, soffocava l’aria rendendo quel momento ancor più infernale e tragico. In mezzo al trambusto, senza neppure conoscerne i nomi, furono arrestati e trascinati in catene sei poveri diavoli, la cui colpa era quella di somigliare ad alcuni ricercati che, in quel momento, stavano al sicuro tra i monti Lattari ed il Matese. Messo insieme un tribunale militare composto dal Sindaco, dal maresciallo dei Reali Carabinieri, dal Giudice Regio e dallo stesso ufficiale Bosco, fu imbastito uno dei tanti processi farsa, dove prima di cominciare, già si conosceva il verdetto. Si vede che dalla Sicilia Bronte aveva fatto scuola, ma andiamo avanti.
Nonostante le timide perplessità sulle effettive responsabilità degli arrestati, espresse dal maresciallo dei carabinieri e nonostante il giudice regio non riscontrasse alcuna colpa, furono condannati a morte mediante fucilazione alla schiena: Francesco Mauro; Saverio Scozio; Angelo Granato; Giuseppe Iervolino; luigi Romano; Vincenzo Fusco Don Felice Mauro, canonico della Collegiata, e un altro sacerdote. Il 23 luglio 1861, al largo Mercato, i condannati furono trascinati in malo modo nella piazza per essere fucilati, ma all’ultimo momento solo al parroco fu risparmiata la vita per paura di una sollevazione popolare. Questo atto di clemenza fu però militarmente giustificato dal fatto che al parroco era stato affidato il compito di provvedere, a sotterrare i corpi dei fucilati a sue spese. Questa azione criminale ebbe una grossa eco popolare, generò una lunga serie di vendette messe in atto dai briganti di tutto il circondario con una recrudescenza della reazione senza precedenti. In una nota ufficiale le autorità civili di Somma dichiararono che Granato e Iervolino erano stati sempre “veri liberali e attaccati all’unità italiana”. Nessuno dei fucilati apparteneva alle famiglie compromesse con il brigantaggio, anche perchè i carabinieri e i giudici Fusco e Mezzacapo lo sapevano, avendo una lista completa con i nomi dei ricercati. Inoltre ebbe per effetto una ferma denuncia da parte del Duca di Maddaloni deputato liberale presso il Parlamento di Torino. Ma l’inchiesta che ne scaturì mandò assolti quei feroci criminali, annoverando quell’azione tra le normali operazioni belliche “necessarie per completare l’Italia”.
Ma il voto non era stato plebiscitario?