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La Questione Morale: perché risollevare le sorti della nostra patria è così maledettamente difficile?

Il nostro popolo, vessato e confuso da 160 anni di disinformazione e di mortificazione culturale non è più quello della resistenza

BCC

Di Edoardo Vitale
Rubrica: La Voce di ‘Sud e Civiltà’


Perché risollevare le sorti della nostra patria è così maledettamente difficile? Un generico sentimento “meridionalista” si è rafforzato grazie anche alla diffusione delle tesi della storiografia anticonformista. Tuttavia questo orientamento, pur coinvolgendo una parte sempre più rilevante della pubblica opinione, non trova convincenti sbocchi politici.
Il fiume un tempo carsico della rinascita identitaria, anziché erompere alla luce del sole in un getto potente capace di sconvolgere gli equilibri di potere che penalizzano il Sud, trova due sbocchi, entrambi inconcludenti. Il primo è quello dei partiti e dei movimenti che partecipano o che vogliono partecipare ai meccanismi di potere italiani. Questo sbocco è letale, perché conduce inevitabilmente a brucianti delusioni.

Infatti nella politica italiana, dal 1861 in poi, vige un patto scellerato, in forza del quale il politico del Sud che vuole avere visibilità e potere deve accettare di non “disturbare il manovratore”, rinunciando, quindi, a ogni progetto idoneo a rilanciare il Mezzogiorno; e riceve, in cambio, elemosine, più o meno laute, da distribuire ai propri amici o clienti.
In questo modo, il sistema coloniale si consolida, appesantendo le catene del Sud e continuando a rubare il futuro ai nostri giovani.,
L’altro modo in cui affiora in superficie il sentimento di appartenenza alla nostra patria napolitana e siciliana è altrettanto inefficace: non un getto potente, ma una nuvola di minuscole goccioline, aventi ciascuna una direzione diversa, quindi incapaci di smuovere alcunché e idonee solo a generare una nebbiolina triste e avvilente.
Per parafrasare Franco Battiato, una galassia senza centro di gravità permanente, incapace di formare una massa d’urto che sfondi il muro dell’oppressione coloniale e usuraia. Continua, in fondo, lo spettacolo di desolante sbandamento che caratterizzò l’ufficialità dell’esercito delle Due Sicilie di fronte all’offensiva dei predatori al seguito di Garibaldi.

Anche allora, infatti, di fronte all’evidenza dell’aggressione, non solo fu inefficace il coordinamento strategico, non solo risultò discontinua la determinazione; ma soprattutto mancò la chiarezza concettuale. A parte i traditori, fra i difensori della monarchia borbonica vi erano molti esponenti di un conservatorismo stanco, spesso intimamente convinti dell’ineluttabilità della rivoluzione. Inadeguati protagonisti di una sfida epocale di cui non coglievano il senso profondo, erano incapaci di pianificare una controffensiva e psicologicamente preparati alla sconfitta. Il fronte liberale, per contro, riusciva molto meglio a superare le divergenze e perfino gli odi e le antipatie, compattandosi nell’assalto demolitore alle istituzioni tradizionali. Li aiutava la spregiudicatezza morale delle ideologie sovversive, la loro ispirazione anticristiana, la forza trascinante dell’impulso distruttore, per cui, ad esempio, un Pisacane poteva battersi per rovesciare Ferdinando II pur avendolo indicato come male minore rispetto al monarca sabaudo, finendo per favorire proprio quest’ultimo, e analogamente poteva appoggiare i ceti possidenti oppressori della povera gente, pur avendo sostenuto che la proprietà è un furto.

La rivoluzione fece proseliti soprattutto fra le persone istruite, alle cui ambizioni economiche, quasi sempre contrapposte agli interessi del popolo, offrì un costante sostegno. Questo dipende dal fatto che la cultura dominante stava muovendo alla società pre-rivoluzionaria una critica serrata, proiettata verso il suo rovesciamento, anziché il suo miglioramento. Diversamente da quanto accedeva nell’epoca aurea della monarchia ispanica, quando nel diritto, nella storiografia, nella letteratura, nell’arte, si esprimeva lo sforzo corale della comunità delle Due Sicilie di cooperare all’affermazione dei valori della tradizione e alla loro migliore realizzazione pratica nella vita sociale e nello scacchiere internazionale. Con la decadenza delle Spagne, a farsi carico della difesa delle istituzioni tradizionali fu soprattutto l’elemento popolare, che vedeva nel re il garante dei propri diritti e che a ogni invasione versò il proprio sangue a difesa della patria. Non si formò, invece, sul piano ideologico e organizzativo, un fronte tradizionalista sufficientemente solido, capace di elaborare risposte convincenti e alternative valide alle proposte e alle iniziative del partito antiborbonico. Questo, sostenuto da una imponente rete settaria e dai ben muniti agenti delle potenze “liberali”, giunse a influenzare anche esponenti della corte reale, ottenendo una supremazia propagandistica che ebbe forti ricadute politiche (come dimostra in modo particolarmente eclatante il caso delle lettere di Gladstone), e che si è perpetuata fino ad oggi attraverso il controllo dei mezzi di informazione e delle accademie, alimentando il serbatoio del Pensiero Unico.

A ben riflettere, è da secoli che la visione del mondo e la scala dei valori degli “intellettuali” si sono drammaticamente allontanate da quelle del popolo. La frase del ministro Medici, presidente del Consiglio dei Ministri di Ferdinando I, secondo cui si doveva preferire l’uomo che in un affare aveva guadagnato il 30% a chi aveva vinto una battaglia o risolto un problema scientifico, risulta impopolare ancora oggi, ma faceva inorridire un mondo ben più permeato di valori cristiani. L’esaltazione del libero mercato, parola d’ordine che correva di vendita (carbonara) in vendita, di loggia in loggia, ha conquistato le menti di molti intellettuali e, attraverso la politica spesso suicida dei sovrani assolutisti, ha spianato la strada alla conquista del potere da parte dei ceti speculatori e antipopolari, giunta al traguardo il 17 marzo 1861, con la ratifica legislativa dell’usurpazione operata dal re “galantuomo”.

La divergenza fra il pensiero dominante negli ambienti della cultura conformista e il sistema di valori del popolo continua ancora oggi, perfino sul piano del credo religioso, essendo le oligarchie al potere quasi sempre ben distanti dalla fede della gente umile. La differenza rispetto all’Ottocento è che l’uso massiccio, spregiudicato e pianificato dei mezzi d’informazione ha enormemente ridotto l’influenza della predicazione cattolica, a sua volta indebolita da compromessi col pensiero “moderno” che fanno apparire poco convinto e poco convincente chi dovrebbe diffondere il messaggio evangelico. Il popolo custodisce ancora la fiamma della civiltà che rappresenta il meraviglioso retaggio dei nostri padri e dalla cui sopravvivenza dipendono i destini dell’umanità, ma essa trema e oscilla sempre più sotto il vento rabbioso della globalizzazione usuraia e transumanista.

Il compito del militante della tradizione è di smascherare le falsità del Pensiero Unico e le trame di chi ha interesse a imporlo; di riscoprire e rinforzare l’etica della comunità, facendo comprendere a tutti che la concezione del mondo e la filosofia di vita delle comunità popolari non sono tracce di un passato di barbarie, ma prezioso patrimonio spirituale, autenticamente umano, di cui bisogna valorizzare le sorgenti filosofiche e religiose. Un faro di vera luce, capace di fornire infinite risposte a un’umanità stordita e ingannata da mille interessati incantatori, che operano per realizzare un mondo di schiavi malnutriti e inebetiti al servizio di pochi prepotenti.
Per tentare con ragionevoli speranze di successo un’impresa così ardua, ma esaltante, occorrono donne e uomini di grande saldezza morale, dotati di forte spirito critico per evitare le trappole del Pensiero Unico, portatori proprio di quelle virtù che la modernità avvelenata rifiuta: l’umiltà, il rispetto, la disciplina, l’ascolto, la capacità di dare fiducia a chi la merita, lo spirito di servizio, la generosità, il senso di giustizia.

Chi non coltiva queste qualità non può giovare alla causa. Non possiamo più sopportare che la tragedia del Sud sia aggravata da megalomani, venali, autoreferenziali, superficiali e rissosi. Il nostro popolo, vessato e confuso da 160 anni di disinformazione e di mortificazione culturale e sociale, non è più quello che resistette per quasi dieci anni alla violenza di un nemico spietato. Dobbiamo aiutarlo a ritrovare la forza, la coesione e l’integrità morale, che gli occorrono per riprendersi il suo destino. Gli edifici vanno costruiti dalle fondamenta. È difficile, ma non si parte da zero, perché la nostra grande tradizione può aiutarci a risanare rapidamente le ferite di un incubo interminabile rivelatosi amarissima realtà.
Risolvere la questione morale è il primo passo sulla strada della rinascita. Torniamo a essere noi stessi, quello che siamo sempre stati. Strappiamoci la maschera da colonizzati che ci hanno imposto: il mondo dovrà riconoscere negli uomini e donne delle Due Sicilie lo splendore della civiltà che i nostri padri ci hanno trasmesso e che dovrà rivivere nei nostri ideali e nelle nostre azioni.
Solo cuori limpidi e gentili potranno salvare il Sud.

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