Rubrica a cura di Enrico Fagnano: Il Mezzogiorno dopo l’Unità.
Il deputato milanese Giuseppe Ferrari, un politico rigorosamente estraneo a ogni consorteria dell’epoca, sosteneva che l’Italia dovesse unirsi in una confederazione di Stati e per questo era contrario alla pura e semplice annessione delle altre province della penisola da parte del Piemonte. Giuseppe Ferrari è noto perché il 2 dicembre 1861 con un durissimo intervento denunciò in Parlamento l’eccidio di Casalduni e Pontelandolfo, dopo aver visitato di persona i paesi distrutti. Queste sono le parole, con le quali terminò quello che fu un vero e proprio atto di accusa nei confronti del governo: ‘Non potete negare che intere famiglie vengono arrestate senza il minimo pretesto; che vi sono in quelle province uomini assolti dai giudici e che sono ancora in carcere. Si è introdotto un nuovo diritto; il diritto dico di fucilare un uomo preso con le armi in mano. Questa si chiama guerra di barbari, guerra senza quartiere. Ed all’interno come si chiama? Dateci voi un nome, io non so darlo. E se il vostro senso morale non vi dice che camminate nel sangue, io non so più come spiegarmi.’
Il politico milanese fu sempre critico nei confronti delle pretese di supremazia del piccolo Piemonte e sul suo esasperante centralismo, che diedero vita all’odioso fenomeno del Piemontesismo, per la verità aspramente combattuto anche da altri illuminati politici dell’epoca. A questo riguardo ricordiamo l’intervento dell’11 aprile 1870 alla Camera nel quale Ferrari, come riporta l’attento studioso della nostra storia Luigi Iroso ne ‘Losgoverno d’Italia’ (D’Amico, 2018), accusò la classe dirigente sarda di voler monopolizzare la scena politica della nuova Italia, aggiungendo che ‘la prova più lampante di tale tracotante persistenza si nota nella struttura stessa di qualsiasi governo, nell’immediato e nel presente, in cui si vede il Piemonte dar sempre una metà dei ministri.’
Ferrari, quando fu chiaro che la classe dirigente sarda non intendeva realizzare una vera unificazione, ma intendeva assoggettare gli altri Stati, e in particolare le Due Sicilie, con un intervento nel Parlamento del Regno di Sardegna l’8 ottobre 1860 (due settimane prima del cosiddetto plebiscito) denunciò il progetto egemonico subalpino. Nel suo discorso, di altissimo profilo, sia da un punto di vista politico, sia da un punto di vista culturale, parlò di Napoli, che all’epoca era la più importante e più popolosa città italiana, dimostrando di essere un profondo conoscitore della sua storia e della sua civiltà. Ecco quello che tra l’altro disse: ‘Per riassumervi, mi limiterò a trasmettervi l’impressione che reco da Napoli, da me prima non vagheggiata se non nei miei sogni o ammirata se non nei libri suoi. Ho visto una città colossale, ricca, potente. Innumerevoli sono i suoi palazzi, costruiti con titanica negligenza sulle colline, sulle alture, nei vichi, nelle piazze, quasi che indifferente fosse la scelta del luogo in una terra da per tutto incantevole. Ho visto strade meglio selciate che a Parigi, monumenti più splendidi che nelle prime capitali dell’Europa, abitanti fratellevoli, intelligenti, rapidi nel concepire, nel rispondere, nel sociare, nell’agire. Napoli è la più grande capitale italiana e quando domina i fuochi del Vesuvio e le ruine di Pompei sembra l’eterna regina della natura e delle nazioni… Napoli è abbagliante di splendori e voi volete prenderla incondizionatamente, volete che sia data a voi, che si dia a Torino. Non dico che voi vogliate, intendiamoci; ma il moto economico lo vuole, la vostra politica lo esige, la geografia del Piemonte e delle sue ambizioni ingenite lo richiede, e, astrazione fatta dalle volontà individuali, il vostro principio conduce alla confisca immediata e incondizionata della più grande delle città italiane a profitto di una città senza dubbio coltissima e dotata di invincibili attrattive, ma della metà inferiore alla grandezza di Napoli. Quando diceste che Napoli deve darsi incondizionatamente, voi pesaste le parole…La sua dedizione incondizionata significa che sarà libero il Piemonte di distruggere tutte le leggi napoletane per sostituirvi tutte le leggi piemontesi. Chi dice annessione incondizionata, dice che vuole che uno Stato si dia in modo tale che lo Stato che lo prende ne possa disporre a proprio piacimento. La parola incondizionata implica che il regno napoletano si troverà in balia di un Re o di un Senato piemontesi… Qui si tratta di capire se sotto l’aspetto economico l’alta Italia vale la bassa, e se il suo governo sia autorizzato a trascinare nella sua corrente il Regno delle Due Sicilie, il suo diritto di darsi le leggi, il suo potere di reggere la propria antichissima autonomia. Le leggi delle Due Sicilie sono ottime, paragonate con quelle delle altre nazioni incivilite; esse sono da preferirsi a tutte; in una parola i codici francesi sono vigenti nella bassa Italia, e voi volete che Napoli si sottometta incondizionatamente e subito ad occhi chiusi a un regno i cui codici sono nel dubbio della discussione, le cui finanze ondeggiano nell’urto delle autonomie e il cui ordinamento geografico è un mistero per i membri stessi del Gabinetto piemontese? Or bene, s’io avessi l’onore d’essere nato nella patria di Vico, e se l’alta Italia volesse annettervisi senza condizione e subito, io direi: no, non confondiamoci, ma confederiamoci. E difatti, giacché la storia non volle che l’Italia appartenesse alla classe delle nazioni unitarie, colla federazione possiamo giungere a ogni più gloriosa meta. Colla federazione ogni città si trasforma in capitale e regna sulla sua terra, colla federazione ogni Stato italiano si riconosce con una propria assemblea erede delle proprie glorie.’
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Giuseppe Ferrari denunciò l’eccidio di Casalduni e Pontelandolfo