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Caso Telegram: “Colpire le piattaforme deresponsabilizza i Governi”

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Antonio Prigiobbo, esperto di innovazione e startup, offre il suo punto di vista sull’arresto di Pavel Durov e sui confini tra libertà e doveri.
Il produttore di un servizio è corresponsabile dell’uso che ne viene fatto? Questa è la domanda che corre sul web a seguito dell’arresto di Pavel Durov, il fondatore di Telegram, l’app di messaggistica con 900 milioni di utenti attivi. Durov è stato recentemente arrestato in Francia e poi rilasciato poche ore fa con accuse tra cui “complicità nel possesso, distribuzione, offerta o messa a disposizione di immagini pornografiche di minori, in un gruppo organizzato”. (Caso Telegram: “Colpire le piattaforme deresponsabilizza i Governi”)

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Antonio Prigiobbo, esperto di startup e innovazione e fondatore di NAStartUp, offre il suo punto di vista sulla questione: «C’è un primo nodo della questione che riguarda la responsabilizzazione delle forze dell’ordine che dovrebbero loro condurre indagini e avere la conoscenza e la tecnologia necessaria per farlo, dotandosi di team specializzati nell’hacking. Non si può lasciare questo monopolio investigativo solo nelle mani delle forze militari. Accusare le piattaforme sembra più un atto di resa delle istituzioni che una prova di forza», afferma Prigiobbo.

C’è poi l’altro nodo della questione, secondo l’esperto in startup e processi di innovazione: «Sembra evidente che queste restrizioni valgano solo per Telegram, una piattaforma che per volontà del suo fondatore è costruita proprio sui principi di indipendenza e anticonformismo. Per equità, lo stesso trattamento andrebbe riservato anche a Meta (Facebook, Whatsapp e Instagram) come a X e alle altre piattaforme. Non è che queste ultime non sono colpite perché hanno accordi con i Governi? Zuckerberg ha ammesso candidamente che in tempi di Covid ha censurato alcuni contenuti su richiesta della Casa Bianca. Non è giusto che i governi abbiano accesso alle informazioni private contenute nelle conversazioni tra utenti in nome della legge, senza una buona motivazione. Tutti ricordano come Apple nel 2015 rifiutò la richiesta dell’FBI di avere un accesso secondario all’iPhone di un attentatore di San Bernardino per superare il sistema di sicurezza della password e dei dati criptati», ricorda Prigiobbo.

Prigiobbo evidenzia come il dibattito su questo tema sia ancora molto aperto e che è un tema spinoso perché ne richiama, per logica, tanti altri: «Il caso ci pone dunque domande sulla libertà: chi vende armi è corresponsabile delle morti causate? La libertà di espressione include anche la possibilità di condividere contenuti illegali, come violenza e pedopornografia, o di facilitare traffici illegali, come droga e tratta di esseri umani?», conclude.

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