Rubrica ‘indipendente’: l’Indipendentista a cura di Stefano Bouché.
Negli ultimi decenni, il meridionalismo ha attraversato numerose fasi, oscillando tra il rifiuto del sistema e la ricerca di una sua profonda riforma. Tuttavia, un punto rimane chiaro: il Sud Italia continua a rappresentare una questione complessa e irrisolta, con radici storiche, economiche e politiche che ne influenzano il presente e ne plasmano il futuro.
L’importanza della Rete e della Collaborazione.
Una delle chiavi per affrontare le problematiche meridionali risiede nella capacità di costruire reti di collaborazione e di confronto. Lavorare insieme, scambiarsi idee, incontrarsi di persona: questi sono i fondamenti di un meridionalismo che possa superare le divisioni storiche e culturali che ancora oggi affliggono il Mezzogiorno. La cooperazione, sia tra intellettuali che tra attivisti, può permettere di comprendere meglio le sfide attuali e di elaborare soluzioni innovative per il futuro. La necessità di superare le visioni manichee della politica tradizionale appare, quindi, essenziale.
Uno degli argomenti più dibattuti all’interno del movimento meridionalista è se il Sud debba continuare a posizionarsi come un “antisistema”. È vero che, per molti anni, e tuttora in verità, il sistema politico ed economico italiano ha trattato il Sud come una sorta di colonia interna, sfruttando le sue risorse senza un reale sviluppo economico sostenibile. Tuttavia, il meridionalismo contemporaneo deve fare i conti con un dilemma cruciale: restare al di fuori del sistema tout court o cercare di entrare a farne parte per cambiarlo dall’interno? Alcuni meridionalisti storici provenienti da movimenti politici della destra, extraparlamentare o non, hanno spesso visto nel meridionalismo una forma di ribellione contro il sistema a 360 gradi, contro il sistema globalista per intenderci. Tuttavia, nel contesto attuale, una parte del movimento ha iniziato a mettere in discussione questa impostazione, proponendo una riflessione più profonda sulle strategie da adottare.
Il vero punto di svolta per il meridionalismo potrebbe risiedere nella capacità di smarcarsi dalle logiche di scontro e antisistema: il Meridionalismo dovrebbe essere visto solo come un antisistema italiano ma non certo un antisistema rispetto al mondo occidentale. Piuttosto che continuare ad opporsi contro tutto e tutti, magari facendo il tifo per i sovranismi molto in prospettiva antiamericana, il Meridione dovrebbe cercare di integrarsi maggiormente nel segmento a cui naturalmente e tradizionalmente appartiene, reclamando il proprio spazio all’interno di un sistema che, pur con le sue imperfezioni, può essere migliorato e reso più giusto: soprattutto per chi ne fa parte. La lotta, quindi, non dovrebbe essere volta a smantellare il sistema del mondo occidentale e democratico – con tutte le criticità del caso che non si vogliono dimenticare – bensì inserendosi all’interno dello stesso, certamente opponendosi al subsistena italiano che ha dimostrato sino ad oggi di preferire un Sud in Colonia piuttosto che protagonista attivo dello sviluppo nazionale. Sostituire il sistema attuale con un’alternativa radicale, del resto, potrebbe determinare dei rischi significativi, strutturare nuovi scenari, incerti, potenzialmente peggiori rispetto alla situazione attuale. Il Meridionalismo, dunque, dovrebbe guardare con pragmatismo alle opportunità di riforma e di miglioramento, puntando ad una partecipazione attiva e non sostanzialmente distruttiva in nome di una tradizione che verrebbe esaltata magari in un’ottica di reificazione ed appiattimento soggiogato delle comunità umane.
In definitiva, il Meridionalismo potrebbe pensare di evolversi in una forza costruttiva, capace di partecipare attivamente al cambiamento del sistema italiano, senza cedere alla tentazione di un’opposizione distruttiva di tutto il sistema occidentale. Il Sud ha bisogno di luoghi di incontro, di riflessione e di dialogo, dove le questioni economiche e sociali possano essere affrontate con lungimiranza e concretezza. Il cambiamento non può essere immediato, ma il fatto stesso di insistere per superare la condizione di colonia interna, magari facendo lobbying – il termine è calzante anche se non piace neanche a me – rappresenterebbe già una vittoria significativa. L’obiettivo non dovrebbe essere, per concludere, un Meridionalismo antisistema per principio, ma un Meridionalismo che, focalizzando la propria attenzione innanzitutto su meccanismi e questione economiche, si faccia promotore di una nuova integrazione e partecipazione attiva all’interno del sistema occidentale, naturalmente, questo sí, cambiando radicalmente il subsistena Italia che ci vuole su un livello più basso a vantaggio di altri territori della penisola. La prospettiva è costruttiva e soprattutto eviterebbe di “scivolare dalla padella alla brace”, come spesso è accaduto nelle rivoluzioni prive di una visione chiara per il futuro.