di Giuseppe Giunto
Dopo l’attentato di Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando, l’imperatore Francesco Giuseppe si schierò con il primo ministro, l’ungherese Istvan Tisza, dichiarando la sua contrarietà a qualsiasi tipo di azione di rappresaglia contro la Serbia: anche perché avrebbe comportato un intervento russo e quindi una guerra di proporzioni enormi. Non voleva una guerra, già gli era toccato di vedere quelle del 48, del 59, e del 66 non ne voleva vedere altre.
Aveva indossato un uniforme tutta la vita come si conveniva a un ”primo funzionario dello Stato”, come si definiva lui stesso: ma era, e sempre rimase, un uomo di pace. Ma tutti gli altri ministri, a cominciare da quello degli esteri Leopold Berchtold, erano dell’avviso che i serbi dovessero pagare con una lezione indimenticabile. Nel medesimo giorno dell’inizio della guerra contro la Serbia, l’imperatore firmò un proclama diretto a tutti i suoi popoli: «Sarebbe stato il mio più ardente desiderio dedicare gli anni che ancora mi sono concessi a opere di pace e a risparmiare ai miei popoli i pesanti sacrifici e gli oneri della guerra. La Provvidenza ha deciso altrimenti. Le macchinazioni di un avversario pieno di odio mi costringono a impugnare la spada per tutelare l’onore della mia monarchia, per difendere il suo prestigio e la sua posizione politica, per assicurarne la stabilità dopo tanti anni di pace».
Francesco Giuseppe d’Austria amava particolarmente il Trentino, l’Alto Adige e il Tirolo, “provincie fedelissime” che ha unito al proprio destino e a quello degli Asburgo dal 1863 al 1918. Nel 1844, definì queste terre “un Paradiso” e per tutta la vita ci tornò moltissime volte, in occasione delle operazioni militari, ma anche per raggiungere la sua sposa, Sissi, Elisabetta d’Austria, che con i suoi soggiorni a Merano e a Madonna di Campiglio contribuì in maniera determinante alla fortuna turistica di queste località. Per l’imperatore, il Tirolo è la patria di Andreas Hofer che aveva pagato con la vita la sua fedeltà agli Asburgo, senza rendersi conto che le mancate risposte alle domande di autonomia e di modernizzazione, avrebbero finito per inimicargli i sudditi di lingua italiana.
Ostaggio dei generali dello Stato Maggiore, ansiosi di combattere dopo oltre quarant’anni di pace, non ebbe l’energia per evitare lo scoppio della Grande Guerra. Tutto questo era noto all’Italia; il sincero desiderio di pace prevalse nel popolo italiano. l’Italia si trovò costretta dagli eventi a cercare nuove soluzioni. E siccome il patto dall’Alleanza con l’Austria-Ungheria aveva già cessato virtualmente di esistere, non serviva più che a dissimulare la realtà dei sospetti continui e di quotidiani contrasti. Il R. Ambasciatore a Vienna fu incaricato di dichiarare al Governo austro-ungarico che il Governo italiano era sciolto da ogni suo vincolo decorrente dal Trattato della Triplice Alleanza nei riguardi dell’Austria-Ungheria.
Il 24 maggio l’imperatore Francesco Giuseppe lanciava da Vienna ai suoi popoli il seguente manifesto:
“Il Re d’Italia mi ha dichiarato la guerra. Un tradimento di cui la storia non conosce l’esempio fu consumato dal Regno d’Italia contro i due alleati, dopo un’alleanza di più di trent’anni, durante la quale l’Italia poté aumentare i suoi possessi territoriali e svilupparsi ad impensata floridezza.
L’Italia ci abbandonò nell’ora del pericolo e passa con le bandiere spiegate nel campo dei nostri nemici. Noi non minacciammo l’Italia; non minacciammo la sua autorità; non toccammo il suo onore e i suoi interessi. Noi abbiamo sempre fedelmente corrisposto ai nostri doveri di alleanza; e la abbiamo assicurata della nostra protezione quando essa è scesa in campo. Abbiamo fatto di più; quando l’Italia diresse i suoi sguardi bramosi verso le nostre frontiere, eravamo decisi, per conservare le nostre relazioni di alleanza e di pace, a grandi e dolorosi sacrifici che toccavano in modo particolare il nostro paterno cuore. Ma la cupidigia dell’Italia, che ha creduto di poter sfruttare il momento, non era tale da poter essere calmata. La sorte dove così cambiarsi.
“Durante dieci mesi di lotte gigantesche nel più fedele affratellamento d’armi dei miei eserciti con quello dei miei augusti alleati abbiamo vittoriosamente tenuto fermo contro il potente nemico del nord. Il nuovo perfido nemico del sud non è un avversario sconosciuto: i grandi ricordi di Novara, Mortara, Custoza, Lissa, che formano la gloria della mia gioventù, lo spirito di Radetsky, dell’arciduca Albrecht, di Tegethof, che con le forze di terra e di mare vivono eternamente, ci sono garanzia che noi difenderemo vittoriosamente le frontiere della Monarchia anche verso il sud. Io saluto le mie truppe vittoriose e agguerrite e confido in esse e nei loro condottieri. E confido nel mio popolo il cui spirito di sacrificio senza esempio merita il mio più profondo ringraziamento. Prego l’Onnipotente che benedica le nostre bandiere e prenda la nostra causa, sotto la Sua benigna protezione”.
Fonte. La Rinascita Triestina
Cronologia. Leonardo.it/storia/ a1915
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