Rubrica: Spionaggio e Geopolitica a cura di Raffaele Romano
Il 1992 si caratterizzò, oltre che per i fenomeni di tangentopoli e mafiopoli, anche per un attacco di carattere militare allo Stato, come quello realizzato a Capaci il 23 maggio sulla Palermo – Trapani e che provocò, con una quantità impressionante di esplosivo, la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, di Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro i tre uomini della scorta e il ferimento di 23 persone. Il fatto non può non collegarsi a tutto quanto stava già accadendo nel Paese intorno a mani pulite. Si ebbe la sensazione che ci fosse il tentativo, con questo criminale attentato, di contribuire a dare un’ulteriore spallata ad un sistema politico già sotto forte attacco. Senza contare, inoltre, la simbologia e la pericolosità di Falcone che, da direttore degli affari penali presso il Ministero della Giustizia, poteva contare su di un’esperienza nazionale ed internazionale unica, oltre ad una serie enorme di rapporti e contatti internazionali di ogni livello e genere, accompagnati da una fama totalmente meritata per il famoso maxi processo a Cosa Nostra. Nel suo interessante libro intervista, l’ex leader liberale, Renato Altissimo affermò che con “lo sgretolarsi dell’Urss, anche a Mosca parte una serie di inchieste, e con massima priorità quelle che cercano di scovare o riportare in patria gli ingenti capitali svaniti nei mesi concitati della fine della Perestrojka.” I capitali erano quelli depositati nel mondo e in dollari del Pcus e del Kgb.
Per poterli recuperare il tutto venne affidato al procuratore generale di Mosca Valentin Stepankov l’incarico di recuperarli. Il tesoro ricercato era immenso e su quello puntavano gli occhi altri vari soggetti interessati. Le informazioni e le indagini di Stepankov portarono dritte alle banche di San Marino ed alcune italiane. Per questo il procuratore di Mosca aveva appuntamento col collega Falcone a Roma il 25 di maggio del 1992 ovvero due giorni dopo l’uccisione a Capaci. Pure Paolo Cirino Pomicino confermò di questo incontro ma una conferma ancor più importante, venne dallo “stesso procuratore Stepankov nell’autunno 1999 a Roma, durante la presentazione di un altro libro illuminante: Oro da Mosca, del giornalista Valerio Riva”. Nessuno mai andò alla ricerca di un movente proporzionato alla strage di Capaci. Ancor oggi, nessuno ha indagato sul movente dell’uccisione di Falcone ma, soprattutto, per quale motivo la mafia dovesse vendicarsi diversi anni dopo le condanne emesse dal maxi processo e non in quell’epoca. Ed infine un’ultima considerazione: perché, al contrario di quanto fino ad allora fatto, la mafia si servì di un attentato di tipo militare e, soprattutto, perché in quel preciso momento storico? Le conseguenze furono chiare ed evidenti: Valentin Stepankov,Procuratore generale che guidava le indagini sui fondi del Kgb, si dimise subito dall’incarico dopo l’uccisione di Falcone ed il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga confidò a Paolo Guzzanti che ““L’ambasciatore sovietico e poi russo Adamishin un giorno venne da me e mi fece una scenata.
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Disse che noi italiani, stavamo compiendo un delitto alle spalle del popolo russo perché non facevamo nulla per impedire che il tesoro dell’Unione Sovietica fosse spedito in Italia per essere riciclato, pagando una gigantesca tangente, affinché tornasse poi in Russia nelle mani di bande di predoni e oligarchi”. Cossiga disse ad Adamishin di non saperne nulla ma che se ne sarebbe occupato. Chiamò infatti Giulio Andreotti, a capo del governo che gli rispose: “Io non posso promuovere un’inchiesta che irriterebbe i comunisti ma ho un’idea migliore: perché non chiamiamo Giovanni Falcone che se ne sta tristissimo a via Arenula e non gli proponi un incarico diplomatico come figura di altissimo profilo che aiuti i magistrati russi nella loro inchiesta?”
Subito dopo fu conferito a Falcone l’accreditamento alla Farnesina col quale fu autorizzato ad andare a Mosca o dovunque occorresse per affiancare l’opera del magistrato russo ed infatti l’indagine di Falcone con i russi andò avanti alacremente: si trattava di rimettere insieme i flussi di denaro che provenivano dalla Russia, si fermavano in una banca italiana e di lì ripartivano per andare a finire in Sicilia in una serie di scatole o matrioske, dalle quali spillava – pagate le transazioni miliardarie – denaro pulito che tornava in Russia. La quantità di denaro è ignota. Sul numero 10 del 1999 di Critica Sociale Giancarlo Lehner ha scritto “Dopo la morte di Giovanni Falcone, le “Izvestia” del 26 maggio 1992 collegano immediatamente la strage di Capaci con l’inchiesta del procuratore russo Valentin Stepankov sui boss comunisti dell’Urss, i partiti fratelli e la mafia siciliana … Gli investigatori russi individuano subito nell’Italia uno dei terminali di quel flusso (scrivevano le “Izvestia”: l’Italia faceva parte del ristretto numero di paesi in cui i soldi del partito e dell’Urss scorrevano a fiumi”). Boris Eltsin, in visita in Italia nel dicembre 1991, chiese collaborazione alle autorità italiane” … Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ricambiò la visita nel marzo 1992 ed affrontò di nuovo il problema col leader russo.
La vera storia della morte di Giovanni Falcone