di Davide Brandi
Il titolo potrebbe sembrare una provocazione bella ed infiocchettata, anzi, mi auguro che lo sia per davvero se ciò servirà a scuotere più di una coscienza ed a trasmettere consapevolezza a più di una generazione distratta ed assuefatta al futile, al mediocre, al “tutto e subito” piuttosto che al riflettere, all’approfondire, indifesa sotto ai “bombardamenti” mediatici della “globalizzazione deviata”.
In questo articolo non voglio soffermarmi a trattare lo stato d’abbandono in cui versa l’immenso PATRIMONIO MATERIALE (monumenti, castelli, chiese, palazzi storici, ecc…) di Napoli (ricordando che il centro antico è stato dichiarato patrimonio UNESCO).
No, voglio soffermarmi sul PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE di questa città: arti, consuetudini, riti, sagre e festività, artigianato e mestieri, pratiche sulla natura e l’universo, tradizioni, linguaggio, ecc.
Ecco, a proposito proprio del linguaggio, espresso oralmente e tramandato di generazione in generazione pur considerando le evoluzioni linguistiche dei tempi soggette a fenomeni sociali, immigratori, mediatici…, ma espresso anche per iscritto attraverso le arti (poesia e prosa, letteratura, teatro e spettacolo in genere compresi i testi delle canzoni) ed attraverso le tante scritte che vediamo per la città, noi napoletani come trattiamo la “NOSTRA LINGUA”, ‘o NNAPULITANO?
Girando per la Napoli e per provincia, con occhio più attento, anche chi non ha dimestichezza ortografica con la lingua di Parthenope, può rendersi conto della DIVERSITÀ morfologica con cui vengono riportati gli elementi grammaticali. Per esempio, c’è chi scrive l’articolo determinativo femminile plurale (in italiano LE) con E’ (sbagliando), chi semplicemente con E (sbagliando), chi invece si imbuca in tortuosi ed oscuri mondi sfoggiando, senza alcun senso né cognizione, tutto il repertorio degli accenti, degli apostrofi, dei troncamenti, delle elisioni e dei segni grafici (É, È, Ê, Ə, Ë…).
Tutta questa “diversità” non fa altro che creare ulteriore confusione e fa ben intendere (a noi napoletani ma anche ai tanti turisti provenienti da tutta Italia) lo stato di VULNERABILITÀ (dichiarato dall’Unesco nell’Atlante Rosso, pubblicazione che elenca le lingue del mondo in pericolo) in cui è collocato il patrimonio immateriale linguistico di Napoli.
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Anzi, direi che sono stati soprattutto gli stranieri a lanciare il campanello d’allarme già nel 1992 al Congresso Internazionale dei Linguisti tenutosi in Canada (Québec) e successivamente con l’istituito Comitato sulle Lingue in Pericolo che sempre nel 1992 a Parigi, esponeva al mondo intero le problematiche del caso, divenendo così argomento planetario che entrava tra gli obiettivi dell’UNESCO. Lo stesso UNESCO, a sua volta, nel novembre del 2001 a Parigi, stilava la Dichiarazione Universale ed in particolare, all’articolo 5, “riconosce ed incoraggia come un valore la diversità linguistica ed il patrimonio linguistico e culturale del proprio territorio”.
Tutto ciò veniva evidenziato proprio a partire dagli anni in cui iniziava il boom della rivoluzione mediatica attraverso internet e che avrebbe stravolto così le modalità di comunicazione tra le persone (da prevalentemente ORALE a prevalentemente SCRITTA attraverso PC e smartphone), ed in questo la lingua napoletana ne ha pagato il prezzo più alto considerando l’evanescenza vocalica, “Ə” e tutti gli altri meravigliosi fenomeni fonetici che la caratterizzano (EVR anziché ÈVERA, PIERD anziché PIÉRDE, ecc…).
Studi e campanelli d’allarme che non sono stati recepiti dalla politica nazionale che mai ha attuato azioni a salvaguardia dei patrimoni linguistici locali se non per quelli delle popolazioni lungo i confini nord, friulano compreso.
C’è da constatare inoltre, che nemmeno la politica locale con le amministrazioni del passato e del presente (ad eccezione di alcune azioni della Regione Campania con la L.R. 14 dell’8/7/2019, ma qui dovremmo aprire un altro discorso per evidenziare l’aspetto puramente accademico anziché popolare) sono state attente alla salvaguardia del proprio patrimonio culturale linguistico.
A tal proposito, da un bel po’ mi rimbomba nei pensieri una frase di Alberto Angela che nella trasmissione “Una notte a Napoli” affermò: “Napoli è un organismo delicato di cui prendersene cura”.
Parole precise, mirate, di elogio ma al tempo stesso di denuncia su gravi negligenze.
Chi si prende cura di Napoli, di quell’immenso e millenario patrimonio immateriale culturale e linguistico?
Perché in fondo è lo stesso “delitto” sporcare il patrimonio materiale (vedi campanile di Santa Chiara, mano colpevole) o quello immateriale (arte del pizzaiolo e fette d’ananas sulla pizza, mano colpevole, e della lingua, I P ME TU P TE, mano non colpevole) giustificando la propria mancanza con espressioni tipo: “Va bbuono, abbasta ca ce capimmo”, “Mado’, comme sìte preciso”…
Equivale a mettere l’ananas sulla pizza!
Allora bisogna difendersi, studiate, bisogna chiedere ed informarsi prima di scrivere. Certo, non è una colpa scrivere errato, ma una mancanza di chi vi ha negato ciò che è vostro!!!
Davide Brandi
(la frase riportata in foto, va scritta: ‘E FFÈMMENE SO’ CCÒMME Ê STÈLLE. SI TE PIÉRDE L’HÊ ‘A GUARDÀ)
Il patrimonio culturale materiale ed immateriale di Napoli e dei Napoletani è “una fetta d’ananas”
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