Riflessioni di un Napoletano in Brasile. Rubrica a cura di Paolo Fiore
Quella notte, la luna era una padella d’argento nella notte d’estate di Natal. Nel ristorante, il grande tavolo era rumoroso: tutti parlavano, si divertivano, ridevano. Il cibo era ottimo e il vino bianco, molto freddo, ancora meglio. Davanti a me sedeva una donna vistosamente elegante, bionda, piena di catenine d’oro, anelli e orecchini. Era un famoso avvocato di Rio de Janeiro.
“E tu cosa fai nella vita?” chiese con superiorità e autosufficienza.
“Sono un artista, musicista, cantante e chef,” risposi.
“Va bene, e qual è la tua città in Italia?” chiese, bevendo un sorso di vino con noncuranza.
“Sono di Napoli, mia cara signora.”
La signora, guardandosi intorno, sorridendo ironicamente e alzando la voce in modo che tutti potessero sentire, commentò:
“Napoli è la città della mafia. Sei un mafioso?” chiese ridendo forte e volgarmente.
“E lei, cara signora, qual è la sua città?” chiesi, cercando di mantenere la calma.
“Sono di Rio de Janeiro.”
“Ah, la città dei truffatori travestiti da avvocato? Anche lei è della categoria?”
La signora rimase muta per tutto il resto della notte.
(quando Napoli e Rio si scontrano a Tavola)
Questo è tutto?
Il mio visto di soggiorno permanente era finalmente arrivato. Potevo, finalmente, lavorare, aprire un conto in banca e sentirmi parte di questo meraviglioso universo che è il Brasile. Proprio in banca dovevo aprire un conto.
“Buongiorno, benvenuto. Come si chiama?” mi chiese l’impiegato di banca.
“Paolo Fiore,” risposi.
L’impiegato mi guardò con la faccia tesa di chi si aspetta qualcosa di più.
“E?”
“E cosa? Mi chiamo Paolo Fiore.”
“È tutto?”
“Mi dispiace, signore, mi chiamo Paolo Fiore.”
L’impiegato tornò a digitare sul suo computer con la faccia di chi pensa “poverino”. Stampò alcuni documenti e li inoltrò a un altro dipendente.
“Benvenuto, signore… e… signore… Solo un minuto. Il mio collega deve aver scritto male qualcosa nel suo nome, perché qui è scritto solo Paolo Fiore.”
“Ma mi chiamo Paolo Fiore!” urlai, già impaziente.
“Solo Paolo Fiore?”
“Allora PA-O-LO FIO-RE!”
Non mi sono mai sentito così piccolo e inutile come quando lasciai quella banca. Cominciai a pensare a come sarebbe stata la mia vita se mi fossi chiamato Paulo Alfonso da Silva Pereira… o Paulo Tavares do Carmo Filho.
Ma io mi chiamavo solo Paolo Fiore.
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Quando Napoli e Rio si ‘scontrano’ a tavola