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Ninco Nanco l’Immortale

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IL MEZZOGIORNO DOPO L’UNITÀ. Rubrica a cura di Enrico Fagnano:

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Ninco Nanco era un mito già quando era in vita e forse fu per questo che si tentò di sminuire il suo valore di combattente, accreditando l’ipotesi che si fosse arreso e poi fosse stato ucciso casualmente. Invece anche lui, come molti altri noti briganti, morì con le pistole in mano. Vediamo allora i fatti e commentiamoli. Questo è il verbale ufficiale sul suo arresto e sulla sua morte, redatto dal maresciallo
Francesco Rebora e dai carabinieri della stazione di Avigliano Tobia Segoni, Gaetano Salandri e Giuseppe Grimaldi: ‘Noi sottoscritti dichiariamo che unitamente ad un drappello di volontari comandati dal degnissimo sacerdote (!) don Donato Pace e dal Luogotenente della Guardia Nazionale Leonardo Filippi, abbiamo eseguito una perlustrazione l’11 del mese andante e il dì seguente. Nel giorno 13 avendo scoperto
al punto detto Croce Angelone, nella vicinanza di Frusci, una quindicina di individui che si dirigevano verso la pagliaia Glitimosa sita lungo la strada che conduce al lago, prevalse l’idea che fossero malviventi e di comune concerto si ordinò l’assalto. Dopo un miglio e mezzo di corsa a rompicollo, finalmente ci siamo accorti che un distaccamento di Guardia nazionali, capitanata dal signor Corbo unito al signor Giudice, delegato di P.S., circondava la mentovata pagliaia, mentre il Corbo gridava: Carabinieri, avanti. All’arrivo il signor Giovanni Lorusso (evidentemente il proprietario della pagliaia; nda) ha confessato: volete la verità, qui c’è Giuseppe Somma, Ninco Nanco. S’intimò la resa alla quale risposero negativamente ed il signor Giudice, vedendo che nessuno rispondeva, corrispose col mettere fuoco alla pagliaia e quando il fumo penetrava all’interno del nascondiglio, altra ambasciata di pace si mandava, alla quale questi risposero coll’incominciare a deporre le armi. Il primo ad arrendersi fu Nicola Lorusso, di anni 40, contadino, brigante di Avigliano, il quale fu ricevuto dal carabiniere Segoni, da don Donato Pace e da Nicola Bochicchio. Dopo si avanzò il famigerato Ninco Nanco. Il medesimo restò qualche minuto affidato alla custodia dei tre summentovati e mentre tra loro c’era scambio di riconoscenze, che dal Ninco Nanco venivano negate, uno scoppio di fucile predisse la
sua morte.’ La versione ufficiale fu, quindi, che Ninco Nanco era stato ucciso da un colpo di fucile partito accidentalmente. Questa ipotesi, però, è a dir poco inverosimile. Come abbiamo visto nella precedente puntata, per i militari che arrestavano un brigante, era
importante consegnarlo alle autorità ancora vivo e questo valeva ancora di più per i volontari della Guardia Nazionale, che vivevano di premi e di compensi legati alla riuscita delle loro operazioni. Per questo motivo i carabinieri, ma ancora di più i militi della Guardia Nazionale, una volta arrestato Ninco Nanco, avrebbero fatto di tutto per tenerlo in vita. Ancora più inverosimile, però, è che il brigante aviglianese si
sia arreso, sapendo che questo significava per lui andare incontro a una lunga e umiliante serie di maltrattamenti, proprio avanti a quel popolo per il quale era diventato un mito.

La relazione stilata dai carabinieri è, quindi, poco credibile, tant’è vero che Aldo De Jaco nel suo libro ‘Il Brigantaggio meridionale’ (Editori Riuniti,1969) significativamente intitola il paragrafo dedicato alla morte di Ninco Nanco in questo modo: ‘Una versione ufficiale, ma bugiarda.’
Dubbi, per la verità, all’epoca vennero espressi anche da giornali tutto sommato vicini al nuovo potere. L’Indipendente del 24 marzo 1864, ad esempio, scrive: ‘…ed allora Ninco Nanco uscì ed arresesi con due compagni. Non capisco poi come e perché venisse ucciso sul luogo e subito, mentre lo si poteva condurre vivo in paese come si fece per gli altri due.’ Alla luce di quanto detto sinora, a mio avviso risulta addirittura superflua la testimonianza di uno dei protagonisti della vicenda, don Benedetto Corbo, citato in precedenza tra gli assedianti della pagliaia, il quale accredita decisamente l’ipotesi che il noto brigante non volesse farsi arrestare vivo. Ecco, infatti, nella sua ‘Risposta al non cavaliere Giovanni Padula, venditore di cenci di Montemurro’ cosa scrive: ‘L’ultimo ad uscire fu Ninco Nanco con le armi in resta e girando gli occhi intorno per vedere ove meglio avesse potuto adoperare il suo brutale furore: ed al certo qualche vittima avrebbe immolato alla sua ferocia, se un caporale della guardia nazionale a nome Nicola Coviello Summa, vedendolo il quel terribile atteggiamento, per impedirgli di menare in atto qualche criminoso eccesso, gli puntò il fucile alla gola e lo stese cadavere.’

Il mito di Ninco Nanco sopravvisse alla sua morte. Ne parla addirittura Carlo Levi nel suo ‘Cristo si è fermato a Eboli’. Il grande artista torinese trovava sorprendente che gli abitanti di Aliano invocassero ancora il suo intervento contro le sopraffazioni e le ingiustizie. Il brigante era morto oramai da quasi 70 anni, ma nella società rurale della Basilicata la sua presenza era sempre viva e attuale. Ninco Nanco è il simbolo della guerra condotta dal nostro popolo disperato contro invasori spietati e sanguinari. È giusto, quindi, che il suo nome venga ricordato oggi accanto a quello di tutti gli altri eroi che hanno combattuto per la libertà.

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