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La Tragedia ha inizio (terza parte)

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Rubrica a cura di Enrico Fagnano: IL MEZZOGIORNO DOPO L’UNITÀ
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Subito dopo l’Unità, come abbiamo visto negli articoli precedenti, nel Sud un enorme numero di dipendenti pubblici e di militari rimasero senza reddito, abbandonati a se stessi, ma non andarono meglio le cose nel settore privato. Con l’annessione si era aperto improvvisamente un nuovo mercato per gli industriali piemontesi, che lo videro come una grande opportunità di guadagno e lo sfruttarono con l’appoggio del governo. In realtà in quel momento nel regno sardo gli imprenditori e gli uomini che detenevano il potere erano in più modi collegati e anzi si può dire che si trattava di un unico gruppo di persone con interessi comuni. Addirittura capitava che i ruoli tra i politici e gli affaristi si scambiassero e in una situazione del genere era naturale che i primi e i secondi si sostenessero reciprocamente. Dopo l’Unità, quindi, chi doveva decidere fece in modo che qualunque cosa servisse a Napoli, e in generale nel Sud, fosse inviata dal Piemonte e questa situazione venne descritta dal deputato Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, nell’interpellanza che inoltrò il 20 novembre 1861 alla presidenza della Camera, ma che non venne autorizzato a leggere pubblicamente nell’assemblea. Proto Carafa, che era stato oppositore dei Borbone ed esule politico e pertanto non può essere considerato uomo di parte, tra l’altro dice: ‘Intere famiglie veggonsi accattar l’elemosina; diminuito, anzi annullato, il commercio, serrati i privati opificii per concorrenze subitanee, intempestive, impossibili a sostenersi per lo annullamento delle tariffe … E frattanto tutto si fa venire dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per i Dicasteri, e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest’uomo possa buscarsi alcun ducato, che non si chiami un piemontese a disbrigarla. A mercanti di Piemonte dannosi le forniture della milizia, e delle amministrazioni, od almeno delle più lucrose, burocratici del Piemonte occupano quasi tutti i pubblici uffici, gente spesso più corrotta degli antichi burocratici napoletani, e di una ignoranza, e di una ottusità di mente, che non teneasi possibile dalla gente di mezzodì. Anche a fabbricar le ferrovie si mandano operai piemontesi, ed i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani; a facchini della dogana, a carcerieri vengono uomini di Piemonte, e donne piemontesi si prendono a nutrici nell’ospizio dei trovatelli quasi neppure il sangue di questo popolo più fosse bello e salutevole. Questa è invasione, non unione, non annessione! Questo è un voler sfruttare la nostra terra, siccome terra di conquista. Il governo di Piemonte vuole trattare le province meridionali come il Cortes o il Pizarro facevano nel Perù e nel Messico.’

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Da quanto riferito dal deputato napoletano, è evidente che il Sud divenne presto un nuovo, grande, mercato per gli imprenditori piemontesi, ma è evidente anche che il regno sardo utilizzò lo stato conquistato per risolvere i propri problemi, primo fra tutti quello della disoccupazione, che era una vera e propria piaga in Piemonte.  L’interpellanza è molto ampia ed elenca anche tutti gli altri mali causati al Meridione dalla nuova situazione politica. Si tratta di un documento particolarmente significativo, perché proveniente da un autore contemporaneo a ciò che stava accadendo e per questo in grado di rendere con immediatezza il clima di quegli anni, descrivendo i fatti con realismo e partecipazione, come nessuna ricostruzione storica a distanza di tempo potrebbe mai fare.

Per gli stessi motivi altra importante testimonianza è la lettera di Liborio Romano inviata il 15 maggio 1861 a Cavour, nella quale il politico pugliese elenca dettagliatamente i danni arrecati al Sud dall’Unità. Il testo è diviso in brevi capitoli, dedicati ai vari problemi, che vengono esaminati sinteticamente e dei quali si indica una possibile soluzione. Nello scritto è evidente la delusione del suo autore per la nuova, e drammatica, situazione, ma sembra anche trasparire un ripensamento sulla validità delle proprie scelte. Liborio Romano verso la fine di maggio parlò del contenuto della lettera con Cavour, che lo aveva invitato a Torino, ed ecco al proposito cosa dice nelle sue Memorie (Marghieri, 1873): ‘Egli riconobbe la giustizia di molti addebiti che io faceva al governo; ma mi confessò che in gran parte derivavano dalle poco esatte informazioni che gli stessi meridionali gli avean dato sulle cose e sugli uomini nostri. Né dubitò che ai mali da me accennati avrebbe dato riparo.’ Come si vede, l’ex ministro dell’interno, nonostante tutto, mostrava di avere ancora fiducia nel potente interlocutore, che però non riuscì a dare seguito ai suoi propositi, perché pochi giorni dopo, il 6 giugno, morì.

L’interpellanza di Francesco Proto Carafa e la lettera di Liborio Romano sono i documenti più completi sulla tragica situazione a Napoli dopo l’annessione, escluse logicamente le cronache degli storici borbonici, tra i quali i più noti sono Giacinto de’ Sivo (ex funzionario del Regno delle Due Sicilie), Pietro Calà Ulloa (ultimo primo ministro del governo napoletano in esilio) e Giuseppe Buttà (cappellano dell’esercito e tra i militari assediati a Gaeta). (Al primo si devono ‘I Napoletani al cospetto delle nazioni civili’, edizione anonima, 1861, e ‘Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861’, editori vari, 1863-1867; al secondo ‘État actuel du royaume des Deux-Siciles’, Dentu, 1862, la sua versione italiana ‘Delle presenti condizioni del reame delle Due Sicilie’, edizione anonima, 1862, ‘Lettres napolitaines’, Dentu, 1864, e ‘Lettres d’un ministre émigré’, Olive, 1870; al terzo ‘Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta’, Savastano, 1875, e ‘I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli’, Giornale la Discussione, 1877.)

Trentesima puntata. I libri di Enrico Fagnano IL SUD DOPO L’UNITÀ e IL PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ sono disponibili sul sito Bottega2Sicilie

Vista la posizione ideologica, le loro testimonianze potrebbero essere considerate di parte, ma la devastazione del Sud successiva all’Unità è stata documentata anche da molti autori non vicini al precedente regime. Oltre ai già ricordati Proto Carafa e Liborio Romano, tra questi c’è Roberto Savarese (insigne giurista, esule politico e poi deputato nel Parlamento italiano, fratello di Giacomo Savarese, autore del noto libro ‘Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1818 al 1860’), che nella lettera scritta il 13 luglio 1861 a Giovan Pietro Vieusseux, fondatore a Firenze di un prestigioso gabinetto letterario-scientifico (ancora esistente e la cui sede attuale è in palazzo Strozzi), dice: ‘Da Garibaldi in poi si è pensato a distruggere e non già ad edificare. Si è sciolto l’esercito borbonico. Ma, rimandando i soldati a casa, doveano essere lasciati a se stessi senza previdenza e provvidenza alcuna? (addirittura non venne riconosciuta la pensione ai militari che l’avevano maturata) E non era da antivedere che, bisognosi e mancanti di lavoro, si sarebbero rivolti al mestiere di briganti … Né questo è tutto. La gendarmeria è disciolta e il suo ufficio, se non di diritto, di fatto ricade alla guardia nazionale. E ai giudici regi, in virtù della nuova legge amministrativa, vien tolta la polizia del circondario, e trasferita nel sindaco di ciascun comune. Se un branco di collegiali in vacanza veniva a governarci non potea fare maggiori pazzie. La polizia nelle mani dei sindaci e della guardia nazionale dei nostri comuni, quasi tutti divisi in parti, non è altro che la guerra civile, e questo è seguito … Nelle campagne scorrono i briganti. Questo male non è solo nelle province remote, ma si distende fino alle porte di Napoli. In Resina da dove vi scrivo, ch’è a quattro miglia dalla capitale e può considerarsi come uno dei sobborghi di essa, non si vive sicuri … Sdegnano di restaurare e migliorare il vecchio, e volendo rifare a nuovo ogni cosa, riescono sempre a distruggere e mai ad edificare. Così è seguito non solo nelle cose, ma anche nelle persone. Abbiamo mandato via gli impiegati vecchi, ma ancora ci mancano i nuovi. Abbiamo destituito a capriccio per odio di parte, e spesso (cosa vergognosa!) per far posto agli amici … Le nostre istituzioni se ne vanno in fumo. Un mezzo milione di uomini non deve essere condannato a morire d’inedia e a marcire nell’ozio. A questo non è alcuno che pensi. Poco lontano dal luogo ove io dimoro, tra Portici e San Giovanni, è una fonderia bellissima del governo. Vi si fanno macchine, cannoni, proiettili e mille altre cose. Il credereste? La vogliono vendere (si tratta della fabbrica di Pietrarsa, che non fu venduta, ma poco dopo venne data in affitto a un privato). Se il governo ha simili stabilimenti in Piemonte, perché non averne anche a Napoli? Intanto il paese si commuove, che si fa la guerra alle industrie napoletane, e tutto ha da venire di Piemonte (come denunciato anche dal Carafa nella sua interpellanza) e molti concludono con queste brutte parole: ci trattano come paese conquistato … Ho udito da uomini gravissimi che in ottobre, salvo pochi poliziotti e i soldati sbandati, non c’era partito borbonico. Oggi non si potrebbe dire lo stesso. Sono borbonici la parte maggiore e più ricca dell’aristocrazia, il clero, la schiera innumerevole degli impiegati, privati, spesso non si sa perché, dell’ufficio (noi, però, sappiamo che bisognava fare posto ai disoccupati piemontesi) e non pochi altri ordini di persone offese o non sapute guadagnare dal nuovo governo … Abbiatemi per imparziale. Io vi dico meno, e non più del vero.’

Molti anni dopo lo storico e politico lucano Giustino Fortunato, in una lettera inviata il 2 settembre 1899 a Pasquale Villari, descrisse in modo sintetico, ma estremamente efficace, quello che era accaduto nell’ex regno in quegli anni, scrivendo: ‘L’unità d’Italia è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti (Il grande intellettuale era un convinto antiborbonico, certamente non nostalgico del precedente regime, e pertanto le sue dichiarazioni su questo punto si possono ritenere assolutamente imparziali).’ 

Trentesima puntata. I libri di Enrico Fagnano IL SUD DOPO L’UNITÀ e IL PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ sono disponibili sul sito Bottega2Sicilie

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