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La Tragedia ha inizio (quarta parte)

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IL MEZZOGIORNO DOPO L’UNITÀ: Rubrica a cura di Enrico Fagnano

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La piemontesizzazione della nuova Italia fu capillare, riguardò ogni struttura e spesso venne portata alle estreme conseguenze. La situazione, che assunse aspetti realmente paradossali, fu descritta in Parlamento il 20 dicembre 1861 dal deputato e giurista pugliese Giuseppe Pisanelli, il quale tra l’altro disse: ‘Non vi è istituzione pubblica, collegio, università, amministrazione, educandato, eccetera, che non siano stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della marina signor Menabrea (un vero e proprio nazionalista sardo, devoto oltre ogni immaginazione alla dinastia sabauda) ha invitato 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi, che essi vi tenevano da 3 o 4 anni messi al tempo dei Borboni, unicamente perché gli è piaciuto dire che questi erano entrati nel 1858 quando a Napoli non vi erano regolamenti piemontesi.’

Per tornare alle testimonianze sulla drammatica situazione provocata nel Sud dall’Unità, ve ne sono alcune che provengono addirittura da autori piemontesi. Tra queste vi è quella del sottoprefetto faentino Enrico Panirossi, il quale ne ‘La Basilicata. Studi amministrativi, politici e di economia pubblica’ (Civelli, 1868) scrive: ‘In Basilicata le imposte dirette e indirette assommano a ben 15 lire sulle scarse 50 di reddito. Con 35 lire all’anno, il povero lucano dovrebbe nutrirsi, tener casa e famiglia, curarsi, far studiare i figli e, perché no?, sollazzarsi come gli pare. Ma le tasse sono le stesse che pagano tutti gli italiani! È questa l’estrema ingiustizia, perché quei tributi che appena sfiorano le ubertose pianure dell’alta Italia qui stremano e sfibrano una superficie in tanta parte alpestre, boschereccia e incolta, non irrigua e insidiata da tante intemperie. Lungo i cinque anni della Liberazione, si triplicarono addirittura le imposte, ma la terra non triplicò i suoi frutti né crebbe il suo valore.’

Negli articoli precedenti abbiamo visto che nel regno delle Due Sicilie la pressione fiscale era pari al 20% circa del reddito prodotto, mentre nel Regno di Sardegna raggiungeva quasi il 50% e poiché le leggi tributarie di quest’ultimo a partire dal luglio 1861 furono velocemente estese al Meridione, il dato indicato dal Panirossi sulla triplicazione delle imposte in buona misura risulta corretto. Per i coltivatori, però, il livello della tassazione, come fa notare il sottoprefetto, tutto sommato era sopportabile al Nord, caratterizzato dai terreni altamente produttivi della pianura padana, mentre diventava intollerabile al Sud, caratterizzato nella massima parte da terreni collinari, o addirittura montuosi, di modesta produttività. Oltre a quelle tributarie, anche le altre norme furono presto trasferite allo Stato conquistato e nel Mezzogiorno ancora prima della proclamazione ufficiale dell’Unità, avvenuta il 17 marzo 1861, già il 17 febbraio con decreti della Luogotenenza entravano in vigore, insieme ad alcune minori, la legge sarda sull’ordinamento giudiziario, con la quale si intendeva assoggettare la vecchia magistratura borbonica, e la Cavour-Rattazzi del 1855 sulla soppressione degli enti ecclesiastici, che comportò l’annullamento del concordato del 1818 tra il Regno delle Due Sicilie e la Santa Sede.

Concludiamo la nostra breve rassegna di testimonianze sulle conseguenze dell’annessione ancora con un brano tratto dal libro di un piemontese, il capitano dell’esercito Alessandro Bianco, conte di Saint Joroz. L’ufficiale ne ‘Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863’ (Daelli,1864) descrisse le origini della rivolta popolare nel Sud e affermò che tra le sue cause vi era stato anche il disagio procurato dall’imposizione improvvisa delle leggi provenienti dallo Stato vincitore, spesso introdotte addirittura con decreto, molte delle quali avevano pesantemente aggravato la situazione economica dei Meridionali. A questo proposito scrisse: ‘Piemontesismo! Ecco un’altra parola gravissima, dolorosissima, che non dovrebbe esistere nel Dizionario italiano. Essa esprime un dualismo, il quale si traduce per discordia e si sa che l’Italia dalla discordia fu sempre prostrata. Ma quando i fatti provano che le leggi che si mandano non sono buone per le province meridionali; che le condizioni economiche di queste sono toto caelo diverse da quelle, e così le  spirituali, le cordiali, di abitudini, di costumanze, di tendenze, ecc., ecc., perché si danno e si fanno agire? Bisognava non toccare, non innovare, aspettare e lasciar correre tutto come esisteva, ed appena appena accomodare il tanto necessario ai principi costituzionali iniziali. Passare dal meglio al peggio quando si aspetta un bene migliore è un violentare di fronte un popolo, un disgradirlo, umiliarlo, offenderlo in tutti gli interessi economici, morali e politici ancora. Le leggi del registro e bollo, diritto graduale, decimo di guerra, ecc., hanno desolato queste popolazioni. Contratti pochissimi; chi compra profitta del bisogno di chi vende; non paga il giusto prezzo ed aggrava sulla proprietà le imposte della legge. In pochi anni le proprietà si concentreranno appieno nelle mani dei ricchi, degli speculatori, degli usurai e dei manipolatori (e fu proprio quello che accadde). Il 1860 trovò questo popolo del 1859 vestito, calzato, industre, con risorse economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali, corrispondeva esattamente gli affitti, con poco alimentava la famiglia. Tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso l’opposto; i ricchi non sentono pietà; gli agiati serrano gli uncini della loro borsa; i restanti sono indifferenti o impotenti. Nessuno può o vuole aiutare l’altro, lo sconforto regna da per tutto. Ora non esistono più vitto e vestire sicuro, industrie, commerci, agricoltura, pastorizia in azione regolare, pacifica. Ora l’erario perde e il popolo non guadagna. Le rendite si consumano, i debiti aumentano … Di questa situazione ne risentono tutte le arti, tutte le manifatture; essendo talmente dipendenti tra loro l’agricoltura, la pastorizia, il commercio e le altre umane attività … Qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione, ad una prossima restaurazione borbonica.’

I fatti descritti dal Bianco di Saint Joroz erano sotto gli occhi di tutti, eppure l’ufficiale per il suo libro subì una dura censura dal comando militare e venne addirittura degradato a maggiore, per poi essere adibito a mansioni secondarie. E anche questo ci fa capire il clima che si viveva in quegli anni in Italia.

Trentunesima puntata. I libri di Enrico Fagnano IL SUD DOPO L’UNITÀ e IL PIEMONTESISMO E LA BUROCRAZIA IN ITALIA DOPO L’UNITÀ sono disponibili sul sito Bottega2Sicilie.

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