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L’Italia e il furto legalizzato ai danni del Sud: i dati Svimez e la verità storica

BCC

di Giuseppe Pagano
Negli ultimi vent’anni il Mezzogiorno d’Italia è stato sistematicamente privato di risorse pubbliche per un totale di 840 miliardi di euro. Lo denuncia la Svimez, ente nazionale per lo sviluppo del Sud, attraverso un’analisi che getta luce su un furto legalizzato ai danni dei cittadini meridionali. Un esproprio che si traduce in 42 mila euro sottratti per ogni abitante del Sud, come risulta dai Conti Pubblici Territoriali. Questo drenaggio di risorse non è frutto del caso, bensì di precise scelte politiche sancite dalla legge 42 del 2009, voluta dalla Lega Nord e approvata con il concorso di parlamentari meridionali e siciliani. Tale legge stabilisce che la distribuzione delle risorse non avvenga in base alla percentuale di popolazione residente, ma secondo il principio della “spesa storica”. Il risultato è che, pur avendo il 34,3% della popolazione italiana, il Sud riceve appena il 28,3% delle risorse statali, con un ammanco annuo di 62 miliardi di euro, ossia circa 3.100 euro in meno per ogni cittadino meridionale.

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Questo squilibrio non è nuovo nella storia italiana. Già con il Piano Marshall, i fondi destinati alla ricostruzione post-bellica furono in gran parte dirottati al Nord, con la giustificazione che l’industrializzazione di quell’area avrebbe generato opportunità lavorative anche per i meridionali. In realtà, questa scelta politica diede avvio a una massiccia migrazione interna, privando il Sud delle forze migliori e lasciando intere aree in una condizione di arretratezza strutturale. Oggi, la cosiddetta “autonomia differenziata” non è altro che l’ultimo atto di questa strategia di spoliazione, finalizzata a cristallizzare il divario tra un Nord sempre più ricco e un Sud in perenne difficoltà. Basti pensare al recente progetto governativo di “deportazione” dei cittadini napoletani a rischio Vesuvio o Campi Flegrei verso le regioni settentrionali, piuttosto che investire nella messa in sicurezza e nello sviluppo delle aree interne della Campania.

Quando si parla di unità nazionale, sarebbe necessario un serio esame di coscienza. Il 17 marzo viene celebrato come anniversario dell’unità d’Italia, eppure proprio in quel giorno del 1861 i bersaglieri piemontesi bombardavano Civitella del Tronto, ultima roccaforte borbonica. Inoltre, in quella data lo Stato Pontificio esisteva ancora e Roma non era capitale d’Italia. Se si vuole coltivare un autentico sentimento di italianità, bisogna prima riconoscere le verità scomode della nostra storia e correggere le ingiustizie ancora oggi perpetrate. Oggi, imprenditori, amministratori locali e cittadini meridionali consapevoli stanno cercando di invertire questa tendenza, puntando su progetti di sviluppo e ripopolamento delle aree interne. Tuttavia, senza un cambiamento delle politiche nazionali e una redistribuzione equa delle risorse, il Mezzogiorno continuerà a essere trattato come una colonia interna, anziché parte integrante del paese. La vera sfida non è riscoprire un vago spirito di italianità, ma lottare per un’Italia equa, capace di valorizzare tutte le sue componenti, senza figli e figliastri.

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