Rubrica a cura di Enrico Fagnano: Il MEzzogiorno dopo l’Unità
Giustino Fortunato nel saggio ‘La questione meridionale e la riforma tributaria’, pubblicato nel luglio 1904, denuncia l’esistenza di un’incredibile anomalia nella distribuzione del carico tributario italiano dell’epoca. Ecco cosa scrive: ‘Or tutto induce a ritenere che sette decimi della ricchezza patrimoniale d’Italia, ossia 45 miliardi e mezzo, spettino al Nord, non più che tre decimi, ossia 19 miliardi e mezzo, al Sud … Ma, poiché il Nord paga un miliardo e 300 milioni di imposte su due miliardi e il Sud 700 milioni, il primo in realtà contribuisce non con il 70, come dovrebbe, ma con il 66%, mentre il secondo dà via, non il 30, ma il 34%; l’uno cioè, a rigor di logica, dovrebbe sborsare un miliardo e 400, l’altro 600 milioni. Sono, insomma, cento milioni che il Sud paga in cambio del Nord.’
Alcuni anni prima il dato era già stato evidenziato dall’economista laziale Maffeo Pantaleoni, che nell’articolo ‘Delle regioni d’Italia in ordine alla loro ricchezza ed al loro carico tributario’, apparso nel gennaio 1891 sul ‘Giornale degli economisti’, aveva scritto: ‘Mentre l’alta Italia possiede il 48% di ricchezza, essa non sopporta che meno del 40 per cento del carico tributario; mentre l’Italia media possiede soltanto il 25% di ricchezza, essa paga il 28 e un terzo per cento del carico totale; e mentre l’Italia meridionale possiede solo il 27% della ricchezza nazionale, essa paga il 32 e un quarto per cento del carico tributario.’
L’analisi di Maffeo Pantaleoni venne confermata anche dallo storico e politico pugliese Gaetano Salvemini nell’articolo ‘Le tre malattie’, pubblicato il 25 dicembre 1898 sulla rivista ‘Educazione Politica’ (poi in ‘Scritti sulla Questione meridionale’, Einaudi, 1955), nel quale il battagliero intellettuale aggiunse come commento: ‘Nel dare il Meridione è all’avanguardia, nel ricevere è alla retroguardia.’
Questa inverosimile anomalia era causata da una legge del 1887, con la quale si esentavano dal pagamento di qualsiasi imposta immobiliare le case sparse rurali. Questo tipo di abitazioni era predominante nelle campagne del Nord, mentre era assolutamente sconosciuto al Sud, dove i braccianti erano costretti ad aggregarsi quanto meno in piccoli nuclei urbani per contrastare più efficacemente la malaria.
Sulla questione intervenne anche l’economista piemontese Luigi Einaudi (che sarà il secondo presidente della nostra Repubblica, il primo eletto), il quale nell’articolo ‘Problema meridionale, riforme tributarie, opere pubbliche ed iniziative private’, pubblicato il 13 novembre 1905 sul ‘Corriere della Sera’, affermò: ‘Forse nella nostra legislazione tributaria non vi è scandalo che sia lontanamente paragonabile all’incidenza effettiva dell’imposta sui fabbricati nell’Italia meridionale.’
Quanto detto sinora è l’ennesima conferma che il Mezzogiorno venne sfruttato per risollevare l’economia settentrionale e quindi è corretto affermare che venne trattato come una terra conquistata. Da alcuni anni, però, alcuni fantasiosi narratori, inopportunamente prestati alla storia, vanno affermando che l’Unità avrebbe portato benefici al Sud, anche se questa affermazione poi rimane sempre sostanzialmente indimostrata.
Più i Meridionali acquisiscono consapevolezza, e quindi più prendono coscienza delle ingiustizie subite dalla nostra Terra, e più questa narrazione viene ripetuta, quasi come un mantra salvifico, dagli storici affiliati al potere, evidentemente più interessati alla propria carriera, che alla ricerca della verità. Peccato per loro, però, che Giustino Fortunato, Maffeo Pantaleoni, Gaetano Salvemini e Luigi Einaudi dicano altro. E peccato che sia davvero difficile contraddirli.
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Il Mezzogiorno colonia di sfruttamento