IL MEZZOGIORNO DOPO L’UNITÀ: Rubrica a cura di Enrico Fagnano
Il 2 ottobre 1920 nell’articolo ‘La questione romana’, pubblicato su ‘L’Ordine Nuovo’, Antonio Gramsci scrive: ‘Il patriottismo massonico e democratico voleva commemorare quest’anno con particolare solennità la data fatidica del Venti Settembre, ma quest’anno più che mai la vecchia musica è maledettamente stonata. La marcia trionfale diventa una marcia funebre. Il cinquantenario della ‘Terza Italia’ coincide col principio della sua fine. Lo Stato borghese -e perciò nazionale, democratico e laico- che secondo i professorelli delle regie scuole doveva durare in eterno, doveva rappresentare le colonne d’ercole della ‘civiltà’ non è durato che mezzo secolo. Un attimo, di fronte alla storia. Una breve parentesi. I posteri sorrideranno -come, del resto già sorridiamo noi- leggendo le tonnellate di libri e di giornali, di discorsi e di carmi, con cui i retori e gli istrioni della democrazia e del patriottismo celebravano la Breccia di Porta Pia come l’inizio di una nuova era della storia del mondo.
Una nuova era? No, ripeto: una breve parentesi. La questione romana non è ancora risolta. Per troppo tempo il Partito Socialista, dominato da una cricca di massoni e di borghesucci, ha insozzato la sua bandiera partecipando al carnasciale commemorativo del Venti Settembre. Noi professiamo un agnosticismo tutt’altro che benevolo e anche alquanto beffardo dinanzi a questa data ‘storica’.
Pure ammettendo che l’unità nazionale potesse favorire lo sviluppo del movimento socialista, noi pensiamo che la soluzione migliore del ‘problema nazionale’ italiano poteva essere assai diversa da quella che esso ha avuto. L’unificazione d’Italia in una monarchia accentratrice non ebbe altra giustificazione che la forza delle armi e gli intrighi diplomatici dei Savoia. (Della serietà dei famosi ‘plebisciti’ non è nemmeno il caso di parlare.) In verità sarebbe stato più conforme alle esigenze della situazione storica e ai bisogni del popolo italiano il programma federalista repubblicano del Cattaneo o anche il programma federalista neoguelfo del Balbo e del Gioberti. Malgrado la diffamazione degli storici aulici o democratici, i cattolici italiani erano in fondo più patrioti dei ‘patrioti’.
Porta Pia non fu che un meschino episodio, militarmente e politicamente. Militarmente non fu che una grottesca scaramuccia. Fu veramente degna delle tradizioni militari italiane. Porta Pia rassomiglia in piccolo a Vittorio Veneto. Porta Pia fu la piccola facile vittoria dell’aggressore enormemente superiore all’avversario inerme, come Vittorio Veneto fu la facile vittoria contro un avversario che militarmente non esisteva più.
Politicamente Porta Pia fu semplicemente l’ultimo episodio della costruzione -violenta e artificiale- del Regno d’Italia. Tutto il resto è chincaglieria retorica. Le belle frasi sulla ‘Terza Roma’ sono completamente prive di senso.
Roma è città imperiale e città papale: in ciò solo sta la sua grandezza universale. La ‘Terza Roma,’ non è che una sporca città di provincia, un sordido nido di travetti, di albergatori, di bagasce e di parassiti. Mentre le due fasi della vera storia di Roma -l’imperiale e la papale- hanno lasciato, traccia perenne, lo splendore dei monumenti romani. La breve parentesi dell’occupazione sabauda lascia, unica traccia di sé, il Palazzo di Giustizia (il monumento a Re Vittorio non è finito, e speriamo che non venga finito mai), architettura da esposizione, statue di gesso e grottesche imitazioni decorative: nato tra lo scandalo dei fornitori ladri e dei deputati patrioti e corrotti, esso è degno di albergare la decadenza giuridica della società contemporanea.
La questione romana non è risolta. Non potevano risolverla, no, le cannonate del re di Savoia. La violenza militarista non può risolvere i problemi internazionali. E la questione romana è un problema internazionale. Noi comunisti, veramente realisti, riconosciamo tra i tanti ‘fatti’ di cui è costituita la realtà contemporanea, anche il ‘fatto religioso’. Disconoscere l’esistenza di questo fatto è antipositivista. Ostacolare ai popoli la soddisfazione di questo bisogno è grandemente ingiusto ed è sommamente impolitico.
Il bisogno religioso, il fatto religioso sono essenzialmente fenomeni universali, internazionali. Perciò, nonostante tutte le declamazioni della pseudosociologia democratica e di qualche ‘socialista’ da loggia o da sinagoga, la Chiesa cattolica è ‘società perfecta’ assai più e meglio che lo Stato nazionale borghese.
Dal contrasto tra le esigenze universali, internazionali, spirituali della Chiesa e le pretese dello Stato nazionale e borghese (pretese che sono idealmente, eticamente ed esteticamente inferiori) nasce la ‘questione romana’.
Il potere temporale dei papi, a torto vituperato da semi-analfabeti del ‘libero pensiero’, è stato un ‘modus vivendi’ storicamente necessario e inevitabile, è stata l’unica forma che potesse, nei secoli passati, garantire la libertà della Chiesa.
La legge delle guarentigie, monumento di ipocrisia e di malafede liberale, non può garantire in nessun modo i diritti dei cattolici. Essi hanno tutte le ragioni di chiedere -finché dura l’attuale sistema selvaggio di pluralità statale- che essa sia internazionalizzata, che la posizione giuridica della Chiesa sia regolata internazionalmente.
Pretendere che lo Stato italiano abbia il diritto di legiferare con assoluta sovranità in questioni eminentemente internazionali -quale è la Chiesa- solo perché il centro di questa istituzione si trova in Italia, costituisce una colossale prepotenza, un atto di arbitrio che offende nel tempo stesso il diritto e il buon senso’.
Il testo è estremamente chiaro e non c’è bisogno di alcun commento. A parte che commentare Gramsci a me sembra improponibile. Una cosa, però, vale la lena di sottolineare. Il grande intellettuale riconosce alla Chiesa un ruolo centrale nella storia della società italiana e negarlo a lui sembra contro l’evidenza dei fatti. Da vero comunista, ovvero da osservatore obbiettivo della realtà, Gramsci inoltre riconosce che tutti i popoli hanno bisogno della religione. Si tratta di un’esigenza che si presenta come un’assoluta necessità. Disconoscerla, dice Gramsci, è ‘antipositivista. E impedirne la soddisfazione è grandemente ingiusto, oltre che sommamente antipolitico.’ In altre parole, impedirne la soddisfazione è un comportamento che può avere un a sola conseguenza: danneggiare il popolo. E le esigenze del popolo per Gramsci (ovviamente) sono sempre assolutamente prioritarie e vengono prima di qualsiasi ideologia precostituita.
Questo testo io credo che dovrebbero leggerlo i nostri governanti, che sul punto sembra non abbiano capito proprio nulla, ma più ancora dovrebbero leggerlo gli acefali reggitori della politica europea, felici di inneggiare al loro nulla esistenziale e convinti di poterci manipolare con i loro falsi miti e con la loro inutile ipocrisia.
Quo usque tandem?