Rubrica a cura di Enrico Fagnano: “Il Mezzogiorno dopo l’Unità”
L’alleanza tra il Piemonte e l’Inghilterra (prima parte clicca qui)
Oltre a tutto quanto detto nella precedente puntata della nostra rubrica, c’era anche un
altro motivo, per cui lo Stato subalpino non produceva più conti ufficiali e cioè
perché parte dei suoi oneri erano privi delle relative evidenze contabili, come
riscontrato anche dall’economista napoletano Giacomo Savarese, il quale al proposito
nel suo studio Le finanze napoletane e le finanze piemontesi dal 1818 al 1860
(Cardamone, 1862), già menzionato la settimana scorsa, scrive: ‘Come avviene che
dal 1855 al 1859 non siano più stati presentati i conti, né siasi proceduto per legge
all’assestamento definitivo dei bilanci? Che cosa si potrebbe rispondere a chi ci
venisse a dire: che i conti dal 1855 al 1859 contengono spese ingiustificabili; ovvero
spese tali, che un ministro non oserebbe confessare al cospetto del parlamento
italiano?’ Dirigenti, funzionari e impiegati piemontesi, infatti, sottraevano
sistematicamente somme dalle casse delle amministrazioni, nelle quali erano
impegnati, e quindi erano sparite e continuavano a sparire ingenti quantità di danaro
dello Stato. Il fenomeno assunse proporzioni talmente rilevanti che finì per
rappresentare una percentuale significativa del debito generale e gli economisti
dell’epoca lo definirono con l’espressione piuttosto colorita di debito pubblico
innominabile. Ovviamente con il danaro recuperato dalle casse del Regno delle Due
Sicilie, pari a circa 80 milioni di lire, la prima operazione che il Piemonte effettuò fu
proprio l’eliminazione di questo particolare tipo di passivo e così sparirono diverse
voci da quello complessivo con la sua conseguente diminuzione.
Il Regno di Sardegna, quindi, era in grande difficoltà e si avviava, letteralmente, alla
bancarotta. Sappiamo, infatti, che al momento dell’annessione dei territori borbonici
aveva una liquidità sufficiente a pagare gli stipendi dei dipendenti statali per non più
di un paio di mesi. Uno dei maggiori esponenti politici piemontesi dell’epoca, Pier
Carlo Boggio (un sincero patriota, morto eroicamente nella battaglia di Lissa del
1866), vicino alle posizioni di Cavour, nell’opuscolo Fra un mese!…, pubblicato
nell’aprile del 1859 (Tipografia Scol. Franco), dichiarava le sue preoccupazioni sulla
situazione finanziaria dello Stato sardo e affermava che questo si sarebbe potuto
salvare solo continuando le sue guerre e acquisendo nuovi territori, dai quali trarre
sostegno per la propria economia. Boggio (come riporta la storica Angela Pelliciari
ne L’Altro Risorgimento, Ares, 2000) scriveva: ‘La pace ora significherebbe per il
Piemonte la reazione e la bancarotta.’ Ecco come poi spiegava i motivi della sua
affermazione: ‘Il Piemonte accrebbe di ben cinquecento milioni il suo debito
pubblico; falsò le basi normali del suo bilancio passivo … Ogni anno il bilancio del
Piemonte si chiude con un aumento del suo passivo. L’esercito assorbe, esso solo, il
terzo circa di tutta l’entrata. La sproporzione è flagrante – anomala – eccessiva. Ma
pure l’esercito è il palladio delle nostre speranze, è la base delle nostre aspirazioni.
Ridurre l’esercito equivarrebbe ad abdicare all’idea italiana. E conservandolo qual è,
il Paese viene rapidamente spinto alla bancarotta. Ecco adunque il bivio: o la guerra o
la bancarotta.’
In una situazione del genere Lord Lionel Rothschild fece l’unica cosa che
probabilmente poteva fare per recuperare i crediti della sua banca e si rivolse alla
Massoneria inglese, spingendola ad appoggiare il progetto espansionistico
piemontese, il cui successo avrebbe messo lo Stato subalpino in condizione di fare
fronte ai propri impegni. E quanto poteva essere determinante l’intervento
dell’associazione segreta nella nostra penisola, ma più in generale nel panorama
politico occidentale, si può capire, se si pensa che le direttive dei suoi vertici
londinesi per gli adepti erano certamente più vincolanti degli ordini ricevuti dai
propri sovrani.
Lord Rothschild, quindi, si rivolse alla Massoneria, ma in quegli anni, cioè negli anni
Cinquanta dell’Ottocento, in Inghilterra rivolgersi alla Massoneria significava
rivolgersi anche al governo. Il numero uno dell’associazione, Lord Henry Palmerston,
infatti, era anche primo ministro (lo fu dal 1855 al 1858 e dal 1859 al 1865), mentre il
suo numero cinque, il già citato Lord Gladstone, era Cancelliere dello Scacchiere,
corrispondente al nostro ministro delle finanze (ricoprì questa carica per quattro
volte, dal 1852 al 1855, dal 1859 al 1866, dal 1873 al 1874 e dal 1880 al 1882, ma fu
anche per ben quattro volte primo ministro).
Del governo faceva parte anche Lord John Russell (che dal 1854 al 1855 fu Lord
President of the Council, dal 1852 al 1853 e dal 1859 al 1865 fu Segretario di Stato
per gli affari esteri, mentre dal 1846 al 1852 e dal 1865 al 1866 fu primo ministro),
altro nome di punta dell’organizzazione segreta, della quale, però, non si sa se fosse il
numero due o il numero quattro.
Il numero tre, Lord Shaftesbury, leader come detto dei Protestanti Evangelici, invece
non era membro dell’esecutivo, però aveva una grande influenza sull’opinione
pubblica inglese e la orientò a favore della spedizione dei Mille, che venne seguita
dai cittadini della Gran Bretagna con enorme partecipazione, mentre Garibaldi per
loro divenne una specie di eroe nazionale.
Come si vede, quindi, non è conosciuto solo uno dei cinque principali esponenti della
loggia londinese dell’epoca. Potrebbe trattarsi, però, proprio di Lord Rothschild, che
a questo punto, in alternativa con Lord Russell, sarebbe stato il numero due o il
numero quattro della struttura. Il banchiere aveva rapporti con una pluralità di
soggetti, dei quali non tutti vedevano di buon occhio la sua appartenenza ad
un’associazione per molti versi addirittura misteriosa e di conseguenza potrebbe aver
richiesto un maggiore riserbo. Probabilmente per questo oggi non è noto il posto che
occupava in quegli anni nella gerarchia della Massoneria, ma la questione è
assolutamente marginale, perché Lord Rothschild ne faceva parte e senza dubbio al
suo interno era un personaggio molto autorevole, come lo era in generale nella
società del tempo, indipendentemente dal ruolo ufficiale.
Ricapitolando, quindi, per i motivi che abbiamo sinteticamente esaminato nella
puntata precedente e in questa, il Piemonte nella sua guerra contro i Borbone venne
appoggiato dal governo inglese, ma allo stesso tempo anche dalla Massoneria inglese.
Come vedremo nelle prossime settimane, questa triste alleanza si allargherà presto
anche alla malavita organizzata dell’epoca, e cioè alla mafia e alla camorra.
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L’Alleanza tra il Piemonte e l’Inghilterra: seconda parte