L’Italia è un paese che ha sempre dovuto affrontare sfide economiche e sociali legate alla gestione delle proprie risorse. Uno dei temi più scottanti, spesso dibattuto ma raramente affrontato con la dovuta profondità, è quello delle concessioni che lo Stato italiano cede a privati, siano essi cittadini o grandi gruppi industriali, nazionali e soprattutto internazionali. Mentre il dibattito pubblico si concentra frequentemente sulle concessioni balneari, c’è un altro settore che merita attenzione: quello delle concessioni delle acque minerali.
(Concessioni: come lo Stato regala le nostre risorse a pochi privilegiati)
Come ci ricorda il prof. Angelo Vaccariello, questo settore, apparentemente marginale, rappresenta in realtà un caso emblematico di come le risorse nazionali vengano spesso gestite in modo inefficiente, portando vantaggi enormi a pochi gruppi privati a discapito della collettività. Le concessioni per le acque minerali in Italia hanno permesso a sette grandi gruppi di assumere una posizione praticamente monopolistica, con il 93% dell’acqua minerale imbottigliata nel Paese che proviene da questi attori dominanti. In pratica, si è creato un monopolio privato che sfrutta una risorsa pubblica senza che lo Stato, e di conseguenza i cittadini, ne traggano un beneficio adeguato.
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La disparità tra quanto le aziende pagano per le concessioni e quanto ricavano dalla vendita di acqua minerale è sorprendente: per ogni euro speso in concessioni, un’azienda può generare un fatturato di 250 euro. Questo enorme margine di profitto solleva domande fondamentali sull’equità di queste concessioni e sulla capacità dello Stato di gestire e valorizzare le proprie risorse. Se consideriamo anche il fatto che molte di queste aziende sono multinazionali, spesso con complesse strutture fiscali, sorgono ulteriori dubbi su quanto di questo guadagno ritorni effettivamente nelle casse dello Stato sotto forma di imposte.
Ma il problema non si limita alle acque minerali. La stessa dinamica si ripete in altri settori, dalle cave alle miniere, passando per l’estrazione di petrolio in Basilicata, fino alla gestione delle autostrade e, più recentemente, alla cessione della rete delle telecomunicazioni italiane a un fondo americano. Questi sono solo alcuni esempi di come lo Stato italiano sembri cedere il controllo di infrastrutture e risorse strategiche senza ottenere in cambio un ritorno adeguato. Il risultato di queste politiche è un trasferimento di ricchezza dalle risorse pubbliche a pochi soggetti privati, con un impatto negativo sulle finanze pubbliche. Miliardi di euro che potrebbero essere investiti in ospedali, scuole, infrastrutture e servizi pubblici vengono sottratti alla collettività per arricchire pochi privilegiati. E tutto questo accade in un contesto in cui si continua a parlare di mancanza di fondi per servizi essenziali, senza mettere in discussione il modello di gestione delle risorse nazionali.
La vera domanda che dovremmo porci è perché lo Stato italiano non sia in grado di gestire direttamente questi settori strategici, o perlomeno di negoziare concessioni che garantiscano un ritorno economico proporzionato al valore delle risorse concesse. In un paese che ha visto privatizzare gli utili e socializzare le perdite, è giunto il momento di ripensare a come vengono gestite le nostre risorse, per assicurare che i benefici tornino finalmente nelle mani dei cittadini.
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Concessioni: come lo Stato regala le nostre risorse a pochi privilegiati