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I tradimenti degli ufficiali delle Due Sicilie

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IL MEZZOGIORNO DOPO L’UNITÀ. Rubrica a cura di Enrico Fagnano

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Ho l’impressione che più il popolo meridionale acquisti consapevolezza delle ingiustizie subite dal 1860 ai giorni nostri, più i difensori (non certo disinteressati) dell’ortodossia filosabauda alzino il tiro. Negli ultimi mesi, in particolare, ne ho sentite veramente di tutti i colori. Alcune settimane fa nell’intervento che ho tenuto nel Convegno di Sud e Civiltà a Villa Domi ho dimostrato come sia priva di ogni fondamento l’affermazione (per alcuni versi addirittura ridicola) che il Sud dall’Unità abbia ricevuto vantaggi e benefici. Sull’argomento sto preparando anche un video, con il quale spero di chiudere, una volta per tutte, la questione. I narratori prestati alla storia, però, non si riposano mai. Ultimamente ho sentito dire che la sconfitta dell’esercito meridionale non è stata dovuta ai tradimenti dei suoi ufficiali, ma anzi questi tradimenti addirittura quasi non ci sarebbero stati. Per quanto riguarda la sconfitta delle Due Sicilie, le cause furono molteplici e non è questa la sede per esaminarle, ma per quanto riguarda i tradimenti degli ufficiali, sentire che non ci furono è sorprendente. Infatti le testimonianze che li provano sono numerosissime e in questo articolo io ne riporterò alcune davvero incontrovertibili, perché provenienti dai vertici dello Stato invasore. Il responsabile delle operazioni segrete nel Regno delle Due Sicilie era l’ammiraglio Persano ed ecco cosa si legge nel suo diario personale (‘Diario privato-politico-militare nelle campagne navali del 1860 e 1861’, Arnaldi, 1870): ‘L’esercito borbonico non merita scuse: né sa risolversi a fronteggiare e combattere le forze garibaldine né si delibera a proclamare l’indipendenza nazionale. La marina reale s’è per lo meno decisa per il partito dell’unificazione. Lasciamo andare se non avesse meglio provveduto al proprio onore difendendo la bandiera e il suo Re e rendiamoli merito di aver spiegata una volontà e d’essersi affrancata da quei tentennamenti, che son pur sempre la più brutta pecca in tutto e per tutto. Non è forse così?’ In questo breve passaggio, quindi, l’alto ufficiale sabaudo conferma inequivocabilmente che la marina borbonica passò subito quasi in blocco dalla parte dei Piemontesi, mentre gli ufficiali dell’esercito tardavano a prendere la stessa decisione.

Vale la pena di sottolineare, però, come l’ammiraglio, che era pur sempre un militare animato da valori in un certo senso sovranazionali, nel suo scritto privato non possa fare a meno di esprimere il suo sdegno per il comportamento di altri militari, che tradivano i loro giuramenti.
Sempre nel ‘Diario privato’ del Persano più avanti si legge: ‘Il nostro trovarsi là non dovrebbe comprometterci, quando si rimanga semplici spettatori; e basterà ad impedire che i legni napoletani agiscano; i quali, anche facendolo, non lo farebbero che pro forma, preparati a togliersi dall’azione al primo inciampo: questo almeno è l’accordo preso con alcuni loro comandanti.’ C’erano, quindi, accordi con i vertici della marina borbonica, che si era impegnata a non creare problemi, come in un certo senso conferma anche Garibaldi nelle sue ‘Memorie autobiografiche’ (Barbera, 1888), quando scrive: ‘Altra circostanza ben favorevole alla causa nazionale fu il tacito consenso della marina borbonica, che avrebbe potuto, se interamente ostile, ritardare molto il nostro progresso verso la capitale. E veramente i nostri piroscafi trasportavano liberamente i corpi dell’esercito meridionale lungo tutto il litorale napoletano senza ostacoli; ciò che non avrebbero potuto eseguire con una marina assolutamente contraria.’ Sulla questione esplicito è il Persano nella lettera inviata il 6 agosto 1860 a Cavour, nella quale scrive: ‘Gli Stati Maggiori di questa marina si possono dire tutti nostri, pochissime essendo le eccezioni.’

Per chiudere il discorso sulla marina borbonica, che fosse stata determinante per la vittoria degli invasori all’epoca era noto, tant’è vero che in un suo discorso alla Camera il 2 luglio 1861 il deputato Gennaro San Donato tra l’altro affermò: ‘La marineria da guerra napoletana che, bisogna convenirne, rendette grandissimi servigi alla causa italiana.’ Uno dei primi ufficiali borbonici a tradire il Regno delle Due Sicilie fu il generale Alessandro Nunziante, che passò ai Piemontesi non tanto per motivi ideali, ma più che altro per sfuggire al processo per i gravi abusi effettuati durante la costruzione del suo palazzo nell’attuale piazza dei Martiri. La sua precoce presenza al fianco degli invasori è documentata da una lettera invita il 9 agosto 1860 da Cavour all’ammiraglio Persano e da questi riportata nel suo già citato ‘Diario privato’. Ecco il conte cosa scrive: ‘Il problema che dobbiamo sciogliere è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d’Europa appaia come atto spontaneo. Ciò accadendo, la Francia e l’Inghilterra sono con noi. Altrimenti non so cosa faranno.

Nunziante è a Berna, lo ho invitato col telegrafo a recarsi a Torino.’ Nella capitale sabauda, d’altro canto, era noto che molti ufficiali borbonici fossero passati agli invasori e lo dimostra l’articolo intitolato ‘Il creduto prodigio di Garibaldi’, pubblicato il 13 settembre 1860 sul giornale torinese ‘Piemonte’ (che alcuni giorni dopo, come è facile immaginare, venne chiuso). Il tono del testo è sarcastico, e spesso addirittura dissacratorio, ma l’autore descrive con precisione quanto stava accadendo. Ecco quello che, tra l’altro, scrive: ‘Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sinora così strane che i suoi ammiratori hanno potuto chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo sconfigge eserciti, piglia d’assalto città in poche settimane, si fa padrone di un reame con nove milioni di abitanti e ciò senza navigli e senz’armi: altro che veni, vidi, vici! Non havvi Cesare che tenga a petto di Garibaldi. Eppure i miracoli non li ha fatti lui ma il grande generale Nunziante e gli altri ufficiali dell’esercito che, con infinito onore dell’armata napoletana, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico …’ I tradimenti, quindi, ci furono e si può dire che gli stessi Piemontesi all’epoca non ne facessero un segreto.

Numerose, infine, sono le tracce del danaro letteralmente corso a fiumi per comprare i sudditi dei Borbone e portarli dalla parte degli invasori.
Il conte Guido Borromeo, segretario particolare di Cavour, come riportato ne ‘La Liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d’Italia: I carteggi di Cavour’ (a cura de La commissione editrice, Zanichelli, 1949), annotava sul suo
registro quanto segue: ‘Somme date per facilitare la rivoluzione a Napoli: £ 50.000 al principe Lequile, £25.000 al principe Napolitano, £ 1.000 al Duca di San Donato, £ 4.000 al Colonnello Ribotti, £ 2.000 al signor Romeo, £ 5.000 a De Pretis, £ 3.000 all’ingegner Aristide
Ferrari, £ 3.500 al Generale Vetter, £ 2.500 alle sorelle Andreoni, £ 1.500 al Generale Lovera; totale £ 97.500.’
Sempre per corrompere i Napoletani Cavour fornì a Persano un milione di lire piemontesi, che all’epoca erano una quantità di danaro davvero considerevole. A questo proposito ecco l’ammiraglio cosa scrive sul suo ‘Diario privato’: ‘Sua Eccellenza il conte di Cavour mi avvisa di aver ordinato che fosse messa a mia disposizione una non lieve somma di danaro perché me ne servissi a promuovere il pronunciamento che doveva far partire il Re da Napoli … Appongo il mio visto ad una domanda fatta dal Comitato di 1.000 ducati e ad una tratta di 4.000 ducati a
favore di Nisco … 31 agosto. Ho dovuto somministrare altro danaro. 20.000 ducati al Devincenzi, 2.000 al Console Fasciotti e 4.000 al Comitato per guadagnare (ovvero per corrompere, nda) soldati …’ Numerosi ufficiali dell’esercito napoletano, e più in generale numerose personalità delle Due Sicilie, passarono quindi ai Piemontesi, il più delle volte per danaro, ma anche per altri benefici personali. Le testimonianze e i documenti riportati lo provano in maniera assolutamente incontrovertibile. Eppure io temo che su questo argomento
saremo costretti a tornare. Per realizzare questo mio articolo, mi sono avvalso anche dei lavori di uno dei più attenti studiosi della nostra storia, il professore Vincenzo Giannone, che voglio pubblicamente ringraziare.

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