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Il prof. Bellavista “interroga” Manfredi sulla Venere degli Stracci: “Nu capolavoro o nu cesso scassato?”

Per molti sembrerebbe "Nu cesso scassato" per altri "un'opera di arte contemporanea"

BCC

di Lorenzo Piccolo

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La Venere degli stracci di Pistoletto è un’opera che la stragrande maggioranza dei napoletani ha vissuto come un insulto alla loro Capitale, non solo per la sua intrinseca bruttezza ma anche in quanto ennesima e spocchiosa “imposizione dall’alto” di ciò che i partenopei dovrebbero, per “civilizzarsi”, considerare cultura, non senza rinnegare e disprezzare le proprie radici.
Ciò è stato tranne che per una sparuta minoranza di napoletani i quali, non senza la solita significativa dose di autorazzismo e complessi di inferiorità in salsa esterofila padana, giocavano invece a fare quelli “colti e non provincialotti” strappandosi le vesti per la sedicente opera d’arte. Dopo che la stessa è andata in fiamme, e senza che la giunta comunale abbia mai dato spiegazioni convincenti sulle garanzie fornite sul suo essere ignifuga, viene installato un cartello che ne annuncia, in maniera tanto trionfale quanto grottesca, il ripristino e, su questo cartello, compare una citazione aggiunta a pennarello: “È nu capolavoro o è nu cesso scassato?”

Dubito che l’italiano medio in quanto tale possa cogliere al volo la citazione, ma ciò a noi partenopei davvero poco importa. Questo colpo di genio mi ha riportato con la mente ai festeggiamenti per il recente scudetto, il cui momento più alto è stato l’esposizione allo stadio dello scudetto rovesciato come “bottino di guerra”, e durante i quali nella nostra Capitale sono stati esposti innumerevoli striscioni con citazioni di Troisi, Totò, Pino Daniele e dello stesso De Crescenzo, tra gli altri. Come ebbi già modo di sottolineare allora, ciò avveniva perché la cultura partenopea è per noi il sangue che scorre nelle vene. È  identità, radici, è l’esatto opposto della vacua e sterile erudizione che un sistema di istruzione fantoccio (quello italiano, tanto per non fare nomi) vorrebbe imporci. Inutilmente, a quanto pare.

Uno striscione in particolare mi è rimasto nel cuore, riportante una citazione di Curzio Malaparte che merita di essere letta per esteso.
“Napoli […] è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia.
È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno.
Napoli è l’altra Europa che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare […] Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli…
Che cosa sperate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna? Vi troverete Napoli. È il destino dell’Europa di diventare Napoli.”

Questa dicotomia tra cultura vissuta ed erudizione sterile, aliena ed imposta non può non richiamare alla memoria Oswald Spengler ed, in particolare, la distinzione tra “Kultur” e “Zivilisation” ne “Il tramonto dell’Occidente”. Kultur nella visione dell’autore è la cultura positiva, vitale, non priva di una sana barbarie che noi, traducendo in napoletano, definiremmo “lazzara”: Kultur a sua volta protagonista della storia intesa come luogo della vita e del divenire umano. Zivilisation all’opposto è la cultura vacua, sterilmente e pretestuosamente raffinata, votata alla decadenza: fin troppo spesso noiosamente esterofila nella misura in cui non si è più in grado di produrre nulla di significativo. In tutta questa vicenda il sindaco Manfredi incarnerebbe alla perfezione la controparte di una “zivilisation neogiacobina”, e ciò non di certo solo per le sue pubbliche partecipazioni alle celebrazioni neogiacobine o per la sudditanza dimostrata nei confronti del superiore interesse nazionale, ovvero settentrionale, come  quando da ministro si oppose al provvedimento per favorire il ritorno degli studenti universitari meridionali oppure quando, da sindaco ha firmato il prestito capestro col governo Draghi, con conseguente possibile messa all’asta di beni culturali simbolo di Napoli.

La raffazzonata e fantozziana delibera sul divieto di stendere i panni dint’ ‘e viche della Capitale, la nevrotica frenesia nel rimuovere i festoni dello scudetto, gli impedimenti e bastoni tra le ruote pe ntuosseca’ la festa ai tifosi, gli untuosi farfugliamenti per rifiutare il dono alla città di una statua dedicata a D10S incarnano con prepotenza una profonda vergogna di essere napoletano e un odio verso sé stesso come popolo, che coincide alla perfezione con il cupio dissolvi e la vocazione alla decadenza insita nella Zivilisation di Spengler.
La prostrazione e sudditanza nei confronti dell’opera del Pistoletto ne rappresentano l’altra faccia della medaglia: la sterile erudizione esterofila di chi, odiando e recidendo le proprie radici, non è più culturalmente in grado di produrre nulla di significativo. In tal senso la Venere degli stracci simboleggia alla perfezione lo stato dell’arte, ovvero il nulla impreziosito col niente.
A differenza del pessimismo di Spengler sul destino dell’Occidente e nel solco della percezione di Malaparte, la Napoli lazzara, verace e strabordante vitalità ha di nuovo dimostrato di essere impermeabile ai Manfredi e a quei quattro gatti neogiacobini, che gli gironzolano intorno, tenuti artificialmente in vita dal sistema italia.

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